lunedì 31 maggio 2010

Prototype 6




Sicofante, mai




“Se è stato in nome di Forza Italia e della discesa in politica di Berlusconi
che sono state messe le bombe del 1993, perché la mafia e il partito
del capo del governo convergevano nello stesso progetto eversivo,
lo si dica apertamente, assumendosene la responsabilità,
e lo si statuisca con prove; altrimenti si consideri ufficialmente
un calunniatore, un sicofante e un criminale chi sparge questi veleni per l’aria”
Giuliano Ferrara (Il Foglio, 31.5.2010)


Chiamato a deporre al processo d’appello che vede Marcello Dell’Utri imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, il 4 dicembre 2009, Gaspare Spatuzza si è trattenuto a lungo, apparentemente senza una ragione, sull’ordine ricevuto da Giuseppe Graviano nel 1993: installare alcuni cartelloni pubblicitari in località Brancaccio. Nessuno ha chiesto a Spatuzza cosa pubblicizzassero quei 6x3, nemmeno quando ha detto che pochi mesi dopo, nel 1994, per ordine dello stesso Graviano, ebbe l’ordine di rimuoverli, avendo cura di fare sparire anche i basamenti in cemento, come a cancellare ogni traccia della loro pregressa installazione.
Su questa incomprensibile leggerezza del procuratore generale, Antonino Gatto, e del presidente della corte d’appello, Claudio Dell’Acqua, ho già espresso il mio stupore, in un post nel quale ho avanzato l’ipotesi che su quei 6x3 ci fosse il “Fozza, Itaia!” che serviva a testare il marchio che di lì a poco sarebbe stato il nome di un partito. E concludevo: “Ma è possibile che a nessuno interessi cosa cazzo pubblicizzassero quei cartelloni per i quali si muove in prima persona un capomandamento?”.

Ecco, dovessi spiegare la mia posizione sulle illazioni – le chiamo illazioni, vedete? – che collegano Silvio Berlusconi alla mafia e alla stagione degli attentati del 1993, la farei dipendere dalla risposta di Gaspare Spatuzza alla domanda che non gli è stata fatta, previo riscontro naturalmente. Perché non ci sono dubbi sul fatto che l’operazione “Fozza, Itaia!” sia stata un ballon d’essai che l’équipe di esperti assoldata da Silvio Berlusconi lanciò per sondare il mercato dei consensi, peraltro senza badare a spese (11.300 poster murali, 11.000 cartelloni su tram e autobus, 3.000 pannelli nelle stazioni di servizio), come quando la partita è grossa.
Se la mafia si prestò a reggere il filo di quel ballon, il collegamento tra Berlusconi e gli attentati del 1993 è in quel filo, e Carlo Azeglio Ciampi e Pietro Grasso avrebbero ragione. Ma io non so cosa pubblicizzassero quei cartelloni pubblicitari che per la mafia era importantissimo piazzare a Brancaccio, prima, e importantissimo fare sparire, poi. Sicché al momento sospendo ogni giudizio: non reggerei al “sicofante” che mi appiopperebbe Ferrara.


Nota
Al post che ho linkato tenevo tanto, ma non se lo cagò nessuno. Dovevo aspettare Polisblog, cui esprimo commossa gratitudine.

Siamo onesti, via, non tutti i preti sono pedofili



Ci sono pure quelli che gli abusi sessuali preferiscono compierli su donne in coma o affette da patologie psichiatriche.

E io perciò li schifo, i vaticanisti italiani


In articolo a firma di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 28.5.2010) erano riportati alcuni brani del diario del cardinale Celso Costantini, presentato due giorni fa a Roma: Ai margini della guerra (1938-1947), Marcianum Press 2010 (pagg. 638, € 50,00). Una frase più di tutte è parsa degna di attenzione, almeno al titolista: “Per noi Hitler è l’Anticristo”. Scritta il 19 aprile 1940, la frase è in realtà un po’ diversa: “Per noi Hitler è un persecutore della religione, è l’Anticristo”. Naturalmente non lo era nel 1933, sennò la Chiesa non vi sarebbe andata a Concordato, e dunque quando lo è diventato? Quando si è rivelato “persecutore della religione”.
La formula è corretta, perché Hitler non fu persecutore di tutte le confessioni religiose, anzi, verso il protestantesimo fu assai morbido, ricambiato fino alla fine dei suoi giorni: “la religione”, per il Costantini, è quella per antonomasia, l’unica vera, la sua, quella cattolica. La sua frase, dunque, non rivela affatto un giudizio della Chiesa sulla figura di Hitler complessivamente intesa, e l’evocazione dell’Anticristo è fuorviante se non si tiene presente che la Chiesa di Roma sarebbe il Cristo vivente.
Bene, ma quand’è che Hitler diventa l’Anticristo? Quando brucia il Parlamento? Quando fa fuori oppositori esterni ed interni al suo partito? Quando comincia a eliminare ebrei, zingari, omosessuali, ecc.? No, fin lì non lo è ancora, e infatti il Cristo vivente ha poco o niente da ridire: come cominciano a toccargli i privilegi in terra di Germania, voilà, Hitler comincia a diventare l’Anticristo. E tuttavia i nazisti non saranno mai scomunicati.

Possiamo ritenere che il “noi” del Costantini riguardi davvero la Chiesa di Roma e il papato di Pio XII, ma non era necessario chiarire il resto? Per Andrea Tornielli, no.
Accade questo: Benedetto XVI fa un cenno al diario del Costantini (Angelus, 30.5.2010) come ennesima testimonianza dell’“l’immensa opera compiuta dalla Santa Sede in quegli anni drammatici [sottinteso: per volere di quel santo di Pio XII] per favorire la pace e soccorrere tutti i bisognosi [sottinteso: pure degli ebrei]; e il vaticanista di casa Berlusconi dà conto di questo cenno, avallando gli autorevoli sottintesi con quella frase e chiosando: “Questa era dunque la percezione che Pio XII e i suoi più stretti collaboratori avevano del Führer di Berlino”.
Quando e perché maturò questa percezione? Andrea Tornielli non lo scrive. E io perciò li schifo, i vaticanisti italiani.

Dovendo giocoforza avallare, a Tornielli tornava utile solo quella frase, e solo quella ha usato, rinunciando ad ogni rilievo critico, come un garzone di Sala Stampa Vaticana. Sotto gli occhi, per esempio, aveva fra i virgolettati: “Ho visto la fotografia di torme di ebrei che dopo aver scavato la fossa sono stati uccisi alla rinfusa e gettati nelle fosse: c’erano donne, vecchi, bambini, uomini”. Nel diario del Costantini la pagina è alla data 20.4.1943, alcuni mesi prima che le Ss rastrellassero il Ghetto di Roma, sotto gli occhi di Pio XII, che evidentemente sapeva la fine che avrebbero avuto quei deportati. Perché delle due una: o il “noi” del Costantini comprende Pio XII o non lo comprende. Per Tornielli lo comprende, ma questa frase non gli pare degna di rilievo, men che meno di riflessione critica sul silenzio del Pacelli.
Tornielli non ci informa, ci rifila le pappine predigerite spacciate dalla propaganda vaticana. D’altra parte, poverino, non è altro che un vaticanista italiano, ha tre figli e deve pur campare.


A parte
Il cardinale Celso Costantini aveva una cosa in comune con l’Anticristo: l’avversione per l’“arte degenerata”. In un saggio dal titolo Fede e arte, pubblicato dalla Rivista Internazionale di Arte Sacra (V/1955, pagg. 130-160), si intratteneva sulle “cause dell’epidemia lebbrosa dell’arte moderna”, colpevole di “disintegrare la natura esterna dandoci delle visioni soggettivistiche, deformatrici del vero e riflettenti i truculenti fantasmi d’una fantasia esaltata”, e così lamentava: “Oggidì assistiamo a un ricorso di decadenza, l’arte bamboleggia falsamente rifacendo l’arte rude dei popoli delle caverne”; e però coltivando una speranza: “La moda del deforme passerà come passano tutte le mode”.
Nel saggio, che sembra scritto da un Goebbels appena un po’ sedato col bromuro, il Costantini si chiedeva: “Quale virus, quale infezione ha ridotto a questo stato patologico l’arte? Quali sono le profonde cause per le quali l’arte moderna rinnega i canoni eterni e universali della bellezza?”. Qui Sua Eminenza volava alto tra filosofia e psicologia, ma solo per arrivare alla causa delle cause: “la mancanza di mecenati”. E scriveva: “Un tempo la Chiesa e i Principi erano i grandi e intelligenti mecenati delle arti. I Principi volevano un’arte, che celebrasse la loro potenza, e gli ecclesiastici promovevano un’arte che contribuisse allo splendore e all’efficacia del culto. Le rivoluzioni hanno impoverito le chiese, gli Ordini religiosi e le confraternite e hanno detronizzato i Principi. Il mecenatismo è ora rappresentato dai Governi e, in piccola parte, dalla ricca borghesia. Ma i Governi, legati alla rotazione dei partiti, non hanno un proprio programma artistico; secondano le correnti del giorno col presupposto d’incoraggiare l’arte e di raccogliere anche i documenti dell’arte patologica”.
“Arte patologica”: gli assistenti dell’Anticristo avrebbero detto “entartete Kunst”.

domenica 30 maggio 2010

Un club di svagati


La Fondazione «Il Vittoriale degli Italiani» di Gardone Riviera (Brescia) non percepisce più alcun finanziamento statale dal 1° gennaio 2010, come fa notare Giordano Bruno Guerri, che ne è presidente: “Ho intrapreso la strada della privatizzazione anni fa e l’ho portata a termine l’anno scorso” *. Ciò nonostante, la Fondazione risulta nell’elenco dei 232 enti culturali che subirebbero consistenti tagli del finanziamento pubblico qualora fosse promulgata la manovra finanziaria attualmente al vaglio del Quirinale, almeno stando alla lista diffusa ieri da ansa.it (n° 150) *.
Questo potrebbe spiegare l’errore in cui è incorso il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, che nel dirsi contrario alla drastica misura, della quale ha peraltro dichiarato di non saper nulla (si è lamentato di sentirsi “esautorato”), ha precisato: “Penso che molti enti debbano essere soppressi, tuttavia ci sono degli enti e delle istituzioni, cito il Centro sperimentale di cinematografia e il Vittoriale…” *. All’oscuro della lista preparata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, avrà scorso l’elenco pubblicato da ansa.it, lì vi ha trovato il Vittoriale e… Così si spiega il granchio?

Non quadra. La manovra è stata approvata dal Consiglio dei ministri, era lì che Bondi avrebbe dovuto manifestare il suo dissenso. C’è una sola spiegazione: ha dato il suo parere favorevole senza neanche aver letto l’elenco.
A questo punto, però, l’attenzione si sposta sulla lista stilata da Tremonti. È la stessa diffusa da ansa.it? Include il Vittoriale? E come poteva includerla se lo stesso governo ha approvato fin dal giugno 2009 il decreto che formalizzava la privatizzazione della Fondazione *? Tremonti non ne era a conoscenza? Se l’elenco che ha stilato è quello diffuso da ansa.it, no, non ne era a conoscenza.
Non è un governo, è un club di svagati.

Un enorme tritacarne


Non c’era bisogno di conferma, ma eccola, ci è offerta dal promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, monsignor Charles Scicluna, che dal pulpito, bel bello, se ne viene con l’augurio di morte – naturalmente per il loro bene – ai preti che hanno commesso abusi sessuali su minori.
La prima versione della Crimen sollicitationis è del 1922, ma prima chi sognava di accusare un prete di violenza su un minore? Formalmente protetti per decenni, sostanzialmente autorizzati a perpetrare i loro crimini di diocesi in diocesi, praticamente inesistenti, da un giorno all’altro i preti pedofili sono diventati un problema. Malati nell’anima e nella mente, dapprima, e cioè bisognosi di cure umane e di misericordia divina.
Denunciarli? Macché, di nuovo pareva esserci soltanto il venir meno del favoreggiamento: la Chiesa prometteva di non insabbiare più e consentiva alla giustizia civile di fare il suo corso, bastava fosse chiaro che un prete pedofilo è più pedofilo che prete, e che quindi ogni risarcimento non spettasse alla Santa Sede.
Ora non basta più, c’è quasi il pastorale invito al suicidio, insieme a un bel lavarsene le mani: “Se il mio amico, il mio compagno, la persona a me cara è per me occasione di peccato, è per me un inciampo nel mio peregrinare io non ho altra scelta secondo il criterio del Signore se non di tagliare questo legame”. Traduzione: fino a quando posso coprire lo scandalo, la persona a me cara mi rimane cara; quando non posso più, perché il suo peccato rende evidente la mia complicità, me ne disfo; anzi, sarebbe assai carino se la persona a me cara volesse dimostrarsi tanto carina da evitarmi questo fastidio.
Ed ecco che la macina al collo, fino a ieri invocata solo dai laicisti più giustizialisti, diventa la soluzione ottimale pure per le alte gerarchie vaticane. Prevedo molti collaboratori di giustizia fra i preti pedofili, è quello che normalmente avviene quando un’organizzazione criminale nega ogni sorta di aiuto ai suoi affiliati che si son venuti a trovar guai con la legge.

Non c’era bisogno di conferma, dicevo, la Chiesa cattolica ha un unico fine, sempre lo stesso, da sempre: sopravvivere a qualsiasi costo. Stavolta il costo è la parte più imbarazzante del suo clero, che quanto pare deve essere sacrificata. Un sacrificio che non è poi molto diverso da quello che si paga con la parte più prestigiosa del suo clero, quei martiri della fede mandati a far proseliti in partibus infidelium.
Un enorme tritacarne, la Chiesa cattolica, e ogni genere di carne le torna buona per cagare potere.

sabato 29 maggio 2010

Appunti dei quali potrei fare a meno sulla tv della quale potrei fare a meno


Lo Speciale Omnibus su Walter Tobagi andato in onda ieri sera su La7 era una replica, lo scopro solo dopo, su Wikipedia, alla voce «Antonello Piroso», dove arrivo mosso da una curiosità di cui dirò più avanti: “L’1 settembre 2008 – leggo – La7 ha trasmesso «Dove eravamo rimasti?», in memoria di Enzo Tortora, monologo di 90 minuti in cui Piroso ha ripercorso la vicenda giudiziarie del noto presentatore […] Il 4 settembre 2009 ha replicato il modello della trasmissione raccontando in due ore e mezza la vicenda di Walter Tobagi”.
Ho visto la replica della seconda puntata di un serial, dunque, la replica della replica di un modulo, e d’altra parte “Piroso diventa giornalista – leggo – dopo aver fatto diverse esperienze come animatore nei villaggi-vacanza”, il che mi dà una qualche ragione del fastidio che ho avvertito in più punti nel corso della trasmissione: mi è sembrato che Piroso intrattenesse.
Ecco perché la mia attenzione su di lui era sempre scivolata via, come acqua sull’unto, tutte le volte che lo incrociavo in tv o sulla carta stampata, lo capisco solo adesso: mi dava lo stesso genere di fastidio, al quale ieri sera mi sono voluto sottoporre giusto perché prima o poi doveva accadere. E con questo ho soddisfatto la mia curiosità.

In ogni caso, tra le tante cose dette da Piroso, quasi tutte piegate alle esigenze del mediocre intrattenimento, ce n’è una falsa: una foto di Caterina Rosenzweig fu mostrata a Canale 5, in una commemorazione della stessa cara salma, quella volta tenuta da Claudio Martelli. Non vorrei sbagliare, fu nel 2004. 

Questa parvenza di vita non lo merita

Dichiarata o meno, occasionale o ricorrente, la tentazione di chiudere il blog è di ogni blogger, e quando non sia per cause di forza maggiore, stanchezza o noia, può anche solo “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, che è fra le più comuni fantasie umane, e che quindi non è da biasimare: chi non ha mai fantasticato sui propri funerali? Un po’ di narcisismo e un po’ di sadismo sono elementi essenziali di quell’umano desiderio di saggiare il mondo per vedere quanto sia rattristato nel sentirsi orfano della nostra esistenza.
Certo, c’è chi si suiciderebbe periodicamente, potendo, ma per fortuna non si può: già al secondo suicidio c’è chi sarebbe scettico e reagirebbe con quella irritante indifferenza che ammazza il narcisista e deprime il sadico. Senza contare che, già al primo suicidio, lo stronzo che se n’esce con un “meno male”, si trova sempre.
Ecco perché ritengo che al blogger che voglia chiudere il blog “per vedere di nascosto l’effetto che fa” convenga farlo quando è disposto a chiuderlo davvero, mettendo una croce sulla sua identità (reale o virtuale che sia), scomparendo per sempre. Fino ad allora, tacere circa l’intenzione, anche se questa fosse in relazione a cause di forza maggiore, stanchezza o noia. Ma il peggio del peggio, caro ***, giacché me lo chiedi, è il minacciare di chiudere il tuo blog e poi non farlo.

P.S.: Sta’ tranquillo sei vedrai il copia-incolla di questa email da me: ti copro d’asterischi.


Ansa, 28.5.2010: "Pedofilia: Bagnasco, in Italia possibili coperture di abusi".

Ma va’?

venerdì 28 maggio 2010

Ghino’s rap

Un superbo Ghino.

Con l'8xmille alla Chiesa cattolica avete fatto tanto, per i soliti


Per il 2010, l’8xmille porta alla Chiesa cattolica 1.067.032.535 euro, e la Cei rende noto che 450.000.000 saranno destinati alle esigenze di culto, 357.000.000 al sostentamento del clero e solo 230.000.000 (un quinto del totale) a “interventi caritativi”, mentre 30.000.000 vengono accantonati.

Il Mussolini che Dell'Utri dà da bere a Berlusconi





Lasciamo la plebe di sinistra a strepitare tutto il suo sdegno screziandolo di amarissimo sarcasmo, e la plebe di destra a godersi il suo idolo che cita “un grande e potente dittatore, cioè Benito Mussolini”, sottoscrivendo. Cerchiamo di ragionare sgombrando il campo dai pregiudizi di chi vuole Silvio Berlusconi eterna vittima di maliziosi fraintendimenti e di chi lo dà per pazzo fottuto o finissimo criminale: entriamo nel merito.
La frase di Benito Mussolini che ha citato al vertice dell’Ocse sarebbe – ha detto – “nei suoi diari”, che “ho letto recentemente”. Di grazia, quali diari? Tutti i diari finora dichiarati di Mussolini sono stati indubitabilmente dimostrati falsi. Quale di questi falsi contiene la frase citata (se dal falso è stata citata in modo fedele)?
Impossibile dirlo con certezza, ma è molto probabile che si tratti dei falsi diari di Mussolini di cui Marcello Dell’Utri disse di essere in possesso nel 2007: indubitabilmente dimostrati falsi, da subito, perché contenenti nomi errati, errori grammaticali, discordanze cronologiche e – soprattutto – interi brani molto, troppo somiglianti a passi di articoli pubblicati sui quotidiani dell’epoca. Uno per tutti, cito Luciano Canfora (Tutti gli errori di un falsarioCorriere della Sera, 16.2.2007).
Dell’Utri non replicò e i diari non furono pubblicati come aveva annunciato, anzi, per qualche tempo non vi fece più cenno. Fino a qualche mese fa, quando ne parlò in una conferenza a margine di una Sagra del Risotto (Isola della Scala, 29.9.2009) e, ancora, due o tre settimane fa, in un’intervista concessa a El Mundo, come se quelle agende, che ha sempre dichiarato di aver acquistato dal figlio di un partigiano, fossero autentiche. Come tali le avrà date a bere a Berlusconi, e Berlusconi se l’è bevute.
Qui, se volete, potete lasciarvi andare a qualche battutina, ma io andrei avanti.

La caratteristica dei falsi diari di Mussolini che Dell’Utri ripropone come veri è quella di presentarci un dittatore buono, molto socialista, per nulla antisemita, abbastanza anticlericale, discretamente simpatico e – soprattutto – assai poco dittatore. La frase citata da Berlusconi starebbe a meraviglia in tale contesto: “Dicono che ho potere, ma io non ho nessun potere, forse ce l’hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma nient’altro”. Qui, però, bisogna lasciar cadere la questione della dimostrata falsità dei diari e cercare di spiegarci perché la frase in oggetto l’abbia tanto colpito.
Penso che la ragione sia autoevidente: “colui che era considerato come un grande e potente dittatore” in realtà non lo era, o comunque non si sentiva affatto tale (il che perorebbe attenuante in sede di giudizio storico). Il Mussolini in cui Berlusconi si specchia non si sentiva padrone del carro, ma solo cocchiere.
Nonostante tutto – folle plaudenti e controllo di ogni apparato dello stato – questo Mussolini, in cui a ragione Dell’Utri pensa che Berlusconi possa e voglia specchiarsi, è un buon diavolo: i suoi errori – se ve ne sono stati – hanno semmai avuto origine nel non aver potuto avere il pieno controllo sugli eventi. Insomma, Berlusconi torna a sognare il presidenzialismo come proprietà del paese, e siamo al prolungamento del decisionismo aziendale in politica.
Fin qui niente di nuovo. Il fatto è che mai specchio fu scelto così male: Mussolini ridusse da subito i suoi ministri e gli alti gerarchi del regime a semplici esecutori della sua volontà, al punto da ritenere inutili perfino le riunioni del Gran Consiglio, che sospese del tutto il 7 dicembre 1939, e per quasi quattro anni, fino alla fatale e ultima seduta del 25 luglio 1943.

giovedì 27 maggio 2010

Quasi un Saviano


Il passato di Sua Eminenza è diventato un poco imbarazzante, ultimamente. Ma non per colpa sua, poverino. È che sul suo curriculum ha la presidenza del Comitato organizzatore del Giubileo del 2000, che fece la fortuna mondana dei Bertolaso e dei Balducci: anche se sulla sua rettitudine c’è scommetterci, si sa, il mondo è cattivo e ci mette niente a tirarti dentro. Idem per quel piacere fatto a Lunardi in via dei Prefetti, nel 2004, perché un’azione buona fatta un ministro viene subito fraintesa. Idem per lo spoiling che potrebbe venirgli dal cardinale Sodano, di cui avrebbe dovuto prendere il posto alla Segreteria di Stato, e che lo fece presidente del Comitato, e che a quei tempi era un vero e proprio vicepadreterno, ma che oggi è un pochino in disgrazia (un nipote troppo disinvolto negli affari, legami troppo stretti con padre Maciel, bordate dal cardinale Schoenberg, ecc.) Insomma, il cardinale Crescenzio Sepe ha uno stramaledetto bisogno di far capire al mondo che con tutta questa gentaglia non c’entra niente – incrociati per caso, scurdammoce ’o passato – perché di suo è un paladino della legalità, e voilà, quasi un Saviano.

[...]

«Ci si devono abituare»

Per Alfio, che me lo segnala, è “un atto di estrema e vigliacca malvagità”. Concordo, ma non mi scandalizzo quanto lui.

Em Portugal


La Madonna assicurò alla piccola Lucia: “Em Portugal se conservará sempre o dogma da fé, etc.”, e a leggere ‘sto pozzo delle meraviglie che è il libro di José T. Martín de Agar (I Concordati dal 2000 al 2009, Libr. Ed. Vat. 2010) si scopre una parte di quell’“etc.” nella Conventio inter Apostolicam Sedem et Rem Publicam Lusitanam (pagg. 243-261), che poi sarebbe il Concordato del 2004 tra Vaticano e Repubblica del Portogallo.
Si scopre all’articolo 5: “Gli ecclesiastici non possono essere interrogati dai magistrati o da altre autorità in merito a fatti e cose di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero [por motivo do seu ministério]. Mica per cose di cui siano venuti a conoscenza in confessione, no, ma per ragione del loro ministero, che in un vescovo, per esempio, è anche la gestione della diocesi. In Portogallo, insomma, oltre al dogma della fede, si conserverà anche la libertà del vescovo di coprire il prete pedofilo che gli abbia rivelato di aver commesso abusi a danno di minori, sempre.

Bene, parliamo di quel mostro di Ugolino della Gherardesca...


Si può riassumere la Divina Commedia in tre righe o in cento lunghi pezzulli, uno ogni canto. Posso riassumerla anche copia-incollandola per intero, senza metterci virgolette, levando ciò che a mio parere è irrilevante e infilandoci un commento in parallelo. Chi mi vorrà negare un commento alla Divina Commedia? Senza prestabilire come e quanto io debba riassumerla, posso ricavarne un riassunto più lungo del testo, e che lo includa a brani. Insomma, “per riassunto” mi fa una pippa.

Diaconi


Su Avvenire parla Marco Ermes Luparia, il diacono-psichiatra che cura (anche) i preti pedofili: articolo imperdibile, sul quale tornerò ancora. Per il momento registriamo un dato che, da fonte tanto autorevole, ha enorme valore: il 2% dei preti ha il vizietto. Inciso: a fronte del 2‰ che si riscontra fra i laici. A questo punto sarebbe interessante il parere di un diacono-epidemiologo.

mercoledì 26 maggio 2010

Obama ha compiuto il miracolo


Per dover riassumere in modo così grossolano, un angolino di una pagina interna, per giunta pari, era il posto giusto. In realtà – ne parlavamo qui – le cose non stanno esattamente così: l’avvocatura della Casa Bianca esprime un parere, ma a decidere sarà la Corte Suprema, e non è detto che recepirà quegli argomenti. Di poi, è il Papa, in quanto capo di stato estero, a godere di immunità, non già la Santa Sede.

Sì, ma per l’occhio che scorre distrattamente sulla pag. 16 di Avvenire e coglie solo il titolo, Obama ha compiuto il miracolo.

La mappa degli abusi sessuali della Chiesa

Parliamo solo di quello che si sa, e del 1994 ad oggi (Il Post).

Una specie di immunità per il Segretario di Stato

“Qualcuno è caduto, sorpreso, dalle nuvole; qualcun altro ha tentato della facile ironia; altri ancora ha completamente manipolato il dato reale, affermando che se dovesse passare così com’è il disegno di legge in materia di intercettazioni, la magistratura dovrebbe, tra l’altro, chiedere l’autorizzazione al vescovo per poter intercettare un prete. La realtà è tutt’altra. Le modifiche all’articolo 89 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del vigente codice di procedura penale, previste dal disegno di legge, sono nient’altro che la chiarificazione di una disposizione concordataria, e precisamente dell’articolo 2 lettera b) del Protocollo addizionale all’Accordo di Villa Madama del 1984, secondo cui «la Repubblica italiana assicura che l’autorità giudiziaria darà comunicazione all’autorità ecclesiastica competente per territorio dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici»”
Giuseppe Dalla Torre, Avvenire, 26.5.2010

Ha ragione, il Dalla Torre, e a fagiolo casca uno dei volumi che consigliavo qui sotto.


Quando il religioso è un prete, bisogna dare comunicazione al vescovo. Quando è un vescovo, si deve darne comunicazione al Segretario di Stato. Ma se ad essere oggetto di azione penale dovesse essere il Segretario di Stato, chi dovrebbe averne comunicazione? Non c’è scritto, e questo s’offre come inevitabile buco procedurale: il Segretario di Stato gode di immunità comunque, anche se non è scritto da nessuna parte, perché in Cassazione sarà sempre assolto, per omissione di notifica all’autorità ecclesiastica competente, che non è specificata.
Se all’azione penale a carico del religioso indagato/fermato/arrestato deve seguire la notifica all’autorità ecclesiastica dalla quale dipende, e questa notifica assume forma di garanzia, è incostituzionale che ne goda l’ultimo pretonzolo e un Bertone no. Ergo, qualsiasi azione penale a carico del Segretario di Stato parte zoppa, e inciampa in Cassazione: una specie di immunità, appunto.
Dal Segretario di Stato in su, c’è l’immunità dovuta al capo di stato estero.

Consigli per gli acquisti


José T. Martín de Agar, I Concordati dal 2000 al 2009, Libreria Editrice Vaticana 2010 (pagg. 318 - € 25,00)
Raccolta dei testi ufficiali di Concordati, Accordi, Convenzioni e Protocolli siglati nell’ultimo decennio tra Santa Sede e Albania, Andorra, Austria, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Filippine, ecc. (con testi originali).

Gerd Theissen, Vissuti e comportamenti dei primi cristiani, Queriniana 2010 (pagg. 684 - € 65,00)
Tra le righe, un ricco album psicopatologico. Quasi trenta pagine di voci bibliografiche che da sole valgono metà del prezzo.

“È quello che stanno facendo anche gli altri paesi europei…”

Bonaiuti e Cicchitto, ieri, insistevano sulla europeità della manovra. Ora, sì, gli altri paesi europei stanno facendo una manovra finanziaria come la sta facendo l’Italia, ma non è la stessa manovra. L’omissione del distinguo pare intenzionale e strumentale, almeno quanto quella, ormai nei fatti, stile inconfondibile della cricca, tra l’urgenza e l’emergenza. Ciò che urge non necessariamente emerge, e viceversa.

Angelucci, chiesto il sequestro di sei cliniche: "Prestazioni irregolari o inesistenti" (la Repubblica, 25.5.2010)


Come se quelle fornite dai suoi giornali fossero genuine.

Atrox vs. Fuffi


Non c’è paragone rispetto ai tempi in cui si vedeva scorrere sangue e nell’aria c’era quel bel puzzo di carne bruciata: le contese di natura teologica ed ecclesiologica somigliano sempre più a squallide lotte clandestine di pitbull, quando va bene. Quando va male, oggi, tutto può ridursi solo a un Atrox vs. Fuffi: il dobermann ringhia, il barboncino guaisce e la questione è chiusa.
Posso capire chi preferisce il wrestling e si tiene alla larga dalle polemiche tra cattolico e cattolico: l’esito non è scontato e gli argomenti usati sul ring hanno un’intrinseca onestà intellettuale. Invece, tra cattolici tradizionalisti e cattolici progressisti – i tempi ci passano questo – ormai siamo al punto più basso della lunga storia di sgozzamenti tra cattolici, e nemmeno ci si sgozza più: si abbaia, si sbava, si mostrano i denti, e vince chi riesce a intimidire l’altro (*).
Ho detto “tra cattolici tradizionalisti e cattolici progressisti”, ma devo rettificare: per progressista può intendersi chiunque non sia abbastanza tradizionalista o mostri anche solo tolleranza verso i progressisti o addirittura non abbastanza intolleranza.

(*) Indispensabile la lettura dei commenti ai post linkati.


martedì 25 maggio 2010

Il furto e l'inganno



La tabella riportata qui sopra è relativa ai rimborsi delle elezioni politiche del 2008. Non è stato difficile trovarla in rete, e mi pare non sia difficile ricavarne due dati macroscopici: (1) la spesa elettorale accertata è sempre inferiore a quella dichiarata; (2a) pressoché tutti i partiti (fa eccezione il Psi, ma qui ci risparmiamo le ovvie battute) hanno un rimborso assai superiore alla spesa dichiarata; (2b) questo rimborso è di gran lunga superiore alla spesa accertata (talvolta enormemente superiore, come nel caso della Lega: circa 3 milioni di euro di spese accertate e oltre 41 milioni di rimborso).
Mi pare evidente che la formula “rimborso elettorale” sia sineddoche: i partiti rubano e ingannano insieme, cioè truffano. Inoltre, lo fanno in compiaciuto disprezzo per i loro elettori, gli stessi che nel 1993 espressero parere referendario contrario al finanziamento pubblico dei partiti.

Nella bozza della manovra di cui si parla in queste ore si legge un capitolato dal bel titolo: “Riduzione dei costi degli apparati politici”. Uno rimane positivamente impressionato. Poi va al dettaglio e al paragrafo relativo ai “rimborsi elettorali” trova: “Dimezzato il contributo di 1 euro quale moltiplicatore per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati”.
Significa che sono dimezzati i rimborsi? Vediamo un po’ rispetto a cosa: “Nel 1999, [...] i «rimborsi elettorali» [...] furono portati in un sol colpo da 800 a 4.000 lire. [...] Nel 2002, [...] si passò da 4.000 lire a 5 euro a legislatura (1 euro l’anno [quello cui si fa riferimento della bozza]) per ogni italiano iscritto alle liste elettorali di Montecitorio [...] Totale, 20 euro a cranio per ogni quinquennio, indipendentemente da quanti davvero vanno a votare. E siccome gli iscritti alle liste elettorali di Montecitorio sono 50 milioni tondi, la bolletta che gli italiani pagano ai partiti ha raggiunto la cifra stratosferica di un miliardo di euro per cinque anni: 200 milioni l’anno. Con l’aggiunta di un simpatico bonus, introdotto, anch’esso alla chetichella, nel2oo6. Nel caso di fine anticipata della legislatura, infatti, i contributi elettorali continuano a correre. Per il triennio che si conclude nel 2011, quindi, razione doppia per Camera e Senato. E invece di 200 milioni, eccone 300” (Sergio Rizzo - Corriere della Sera, 25.5.2010).

Ciò detto, la manovra dimezzerà i rimborsi? Continuerà ad esserci furto; in quanto all’inganno, resterà intatto per oltre il 70% e per il restante 30% sarà coperto da un altro inganno.

Non è tutto bigottume quello che fa ridere



Galileo Galilei scriveva in modo maledettamente semplice, e in più era testardo. Non al punto da farsi ammazzare, certo, però su quella questioncella dell’eliocentrismo ci andò vicino. Niccolò Copernico era diverso. Sapeva – o forse sarebbe meglio dire: intuiva – che a turbare l’universo tolemaico si rischiava grosso con le gerarchie ecclesiastiche, sicché tenne per sé e pochi intimi i risultati delle sue ricerche, evitando di darli alle stampe fin quando gli fu possibile, anzi, avendo scrupolosa cura nello sminuire l’entità di quella “rivoluzione” che poi avrebbe preso il suo nome. Il libro con il quale sarebbe divenuto famoso, il De revolutionibus orbium coelestium, quello nel quale il geocentrismo andava a farsi benedire, fu pubblicato poco prima della sua morte ed ebbe la sorte che solitamente toccava a tutto ciò che non piaceva alla Chiesa di Roma, finendo nell’Index librorum prohibitorum a Summo Pontifice, la lista della roba da bruciare, nel 1616.

Qui mi fermo, perché storie come queste mi fanno perdere la calma, e la scrittura mi si increspa, e mi prende una gran voglia di menar le mani. E quindi lascio continuare a Giuseppe Longo, che scrive di scienze per il giornale dei vescovi e proprio oggi dava conto della “completa riabilitazione” di Copernico da parte della Chiesa di Roma, tre giorni fa: “Nel corso della cerimonia il primate polacco Józef Zycinski ha deplorato «gli eccessi di zelo dei difensori della Chiesa» [e] ha dichiarato che la Chiesa cattolica è fiera che Copernico abbia lasciato alla città [Frombork] un grande lascito, fatto di «duro lavoro, di devozione e soprattutto di genio scientifico». Così, 467 anni dopo la morte, Copernico è stato completamente riabilitato”.

È l’umorismo involontario d’un bigotto o la sottilissima ironia d’un laicista che da gran figlio di puttana è riuscito ad infiltrarsi – chissà come – nel ventre molle dell’editoria cattolica? La chiusa fa propendere per la seconda ipotesi: “Si aggiunge un tassello importante al mosaico che sta configurando una progressiva convergenza tra le conquiste della scienza e la posizione della Chiesa”.
“Progressiva convergenza”, solo un gran figlio di puttana può nascondersi così bene.

Il caso Boffo ha lasciato il segno ad Avvenire



“Berlusconi sostiene di non aver mai avuto neppure paura che la magistratura potesse stroncargli la carriera politica...”.
Aspetta, “aver avuto paura” è irrispettoso, meglio “aver temuto”
Ma “paura” resta. Quella del giornalista.

Il grilletto


Nella prolusione con la quale ha aperto l’Assemblea generale della Cei, ieri, il presidente Angelo Bagnasco ha ripreso l’argomento usato da Francesco D’Agostino in un editoriale dedicato al 150° dell’Unità d’Italia (Avvenire, 5.5.2010), che ho già commentato (qui).
Dalla banale distinzione tra stato e nazione, D’Agostino arrivava a questo: “L’Italia, da un punto di vista culturale, artistico, linguistico e soprattutto religioso, era già unita da secoli e secoli [prima del 1861]; e qui, come ho già scritto, andava sottolineato il “soprattutto”, nel quale è posta la tesi che una nazione trovi identità “soprattutto” nel culto religioso che nella sua storia si ritrova vincente sugli altri. Il che implica due assunti: che nazioni tradizionalmente multiconfessionali come quella indiana sia “meno nazione” di quella italiana, la quale invece è tanto monoconfessionale da aver avuto fino all’altrieri addirittura una propria religione di stato, e proprio nel cattolicesimo, che era religione di stato addirittura nel Regno di Savoia; in secondo luogo, che l’Unità d’Italia sia evento notarile sul piano storico, perché “già molto, molto prima di costituirsi in Stato unitario, l’Italia si era già costituita, attraverso la sua lingua, i suoi costumi, la sua arte, la sua religione in nazione e tra le più antiche d’Europa”.
In questo secondo assunto è posta un’ulteriore tesi – a corollario della prima, o forse tesi autonoma, chissà – per la quale l’Italia non esiste se non nell’omogeneità di lingua, costumi, arte e religione, tutta roba più affine al sangue che al suolo. O a un suolo culturalmente egemonizzato.
Tutto questo, in Bagnasco, assume forma di manifesto: “I credenti in Cristo continueranno a sentirsi, oggi come ieri, tra i soci fondatori di questo paese”.

Com’è che questa nazione così antica, identitariamente così cristiana, è arrivata così tardi a darsi uno stato unitario? Chi vi si è opposto? E com’è che proprio il Papato, vertice del cristianesimo, è stato così a lungo ostile a questa unità, prima, durante e dopo? È evidente: prima, durante e dopo, quella Unità d’Italia non piaceva al Papa, per il semplice fatto che sanciva sul piano politico l’egemonia papale sull’Italia.
Ma, insomma, questa nazione italiana – che è cosa “soprattutto religiosa”, non dimentichiamo – voleva o non voleva l’unità statuale? Sì, ma probabilmente la voleva sotto il Papa. Non voleva l’annessione dello Stato Pontificio al Regno di Savoia, semmai il contrario. Poi, dopo un mezzo secolo e più, si è rassegnata a tenersi uno stato laico, rinunciando al Papa-Re. Non c’è contraddizione?
Bagnasco non teme le contraddizioni: “La questione in particolare dei rapporti tra Stato e Chiesa, e di conseguenza l’esplicazione di una autentica laicità, è stata per noi italiani una vicenda forse un po’ più complessa che per altri, costata dibattiti e lacerazioni che hanno tormentato le coscienze più vigili; ma oggi − per i termini in cui è definita (cfr Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di modifica al Concordato Lateranense, 18 febbraio 1984) − essa si presenta come un approdo di generale soddisfazione”.
Tutte le contraddizioni? Finiscono in Concordato. E tuttavia sia chiaro: “È «l’interiore unità» e la consistenza spirituale del paese ciò che a noi vescovi oggi preme”. È il grilletto che vi si dovrebbe premere.

lunedì 24 maggio 2010

Aria


Non gli si può dar torto, stavolta


Giuliano Ferrara si dice “scettico sul destino della legge che regola e limita le intercettazioni”, perché pensa che “sarà stravolta al punto da consentire che tutto prosegua come prima”, con la pubblicazione di “quelle trascrizioni orrende” che istigano al “disprezzo per la vita privata delle persone pubbliche”, malvezzo di un “giornalismo tarato” che non ha analoghi altrove: “altrove, anche dove esistono mafie e criminalità organizzate, anche dove accadono fenomeni di lobbying e di corruzione politica, non si usa pubblicare lenzuolate di intercettazioni” (Il Foglio, 23.5.2010).
Non gli si può dar torto, stavolta. Anzi, per dar misura di quanto abbia ragione, qui produrrò un esempio.

Nell’estate del 1988, un ex militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, ha un pentimento assai tardivo e afferma di essere stato esecutore materiale, insieme a Ovidio Bompressi, dell’omicidio di Luigi Calabresi, su mandato di Adriano Sofri e di Giorgio Pietrostefani. I quattro vengono arrestati e uno dei telefoni che viene messo sotto controllo è quello di casa Sofri. L’ipotesi degli inquirenti è che gli ex militanti di Lotta Continua, organizzazione politica ormai sciolta da tempo, siano ancora legati fra di loro in una lobby che non tarderà a muoversi in soccorso di Sofri, Bompressi e Pietrostefani: dalle intercettazioni si aspettano di raccogliere elementi che possano in qualche modo confermare l’accusa di Marino.
Fra le trascrizioni di queste telefonate, agli atti del processo, ce n’è una che Giuliano Ferrara fa a Randi Krokaa, compagna di Sofri, il 28 luglio di quell’anno. È riportata in una gustosa biografia di Ferrara, di cui ho più volte lamentato nel mio intimo la troppo tardiva pubblicazione (Pino Nicotri, L’arcitaliano, Kaos Edizioni 2004). La riporto qui di seguito.
G.F. Pronto, Randi.
R.K. Sì…
G.F. Sono Giuliano.
R.K. Oh, Giuliano. Ti volevo cercare, non sapevo dove cercarti.
G.F. Mi hanno cercato… Ero a casa, tesoro, ero a casa. Mi hanno cercato Marco Boato e […] della cosa, e mi hanno detto... Adesso cerchiamo subito di combinare una cosa su queste...
R.K. Eh, cioè, insomma, perlomeno di…
G.F. No, pensavo di fare un’intervista a Marco per il Corriere (adesso devo chiamare il Corriere e vedere se mi danno lo spazio), in cui si racconti tutta la storia, diciamo, del tentativo che nel corso degli anni c’è stato, ripetuto, eccetera, di coinvolgere... e tutto è sempre andato in bolle di sapone. Capito? Perché mi sembra la cosa più utile fare una cosa (...) in cui, con un personaggio come Marco, in fondo abbastanza integrato, e poi che sa parlare un linguaggio istituzionale...
R.K. Appunto…
G.F. … parla di questa vicenda dicendo: «No, ma guardate, queste sono pazzie»... Mi sembra la persona più giusta...
R.K. Sì, sì, indubbiamente…
G.F. Senti, Adriano è andato via tranquillo, mi ha detto Marco...
R.K. Sì, cioè, aveva un bel giramento di coglioni, diciamo.
G.F. Immagino.
R.K. No, perché già mi ha telefonato un giornalista, amico nostro, qui di Firenze, che gli hanno telefonato da la Repubblica a Roma, chiedendogli: «Ma è vero che hanno arrestato Sofri nella sua villa toscana?». Insomma, queste cose qui, guarda… mamma mia, che palle…
G.F. Insopportabili. Io sono ossessionato da giornalisti che hanno pubblicato le mie foto nude al mare.
R.K. Sì, sì, me ne hanno parlato. Io non sono riuscito a vederle, e le voglio vedere assolutamente.
G.F. E allora devi prendere Gente e Eva Express
R.K. Va bene…
G.F. Portale anche ad Adriano a San Vittore…
C’è prova, come per le altre telefonate agli atti del processo, dell’esistenza di una lobby, ma nulla di compromettente v’è sul piano penale, né a carico di Sofri, né a carico degli intercettati. L’esempio riportato è solo – e questo è il primo punto sul quale bisogna dar ragione a Ferrara – una “trascrizione orrenda”, che istiga al “disprezzo per la vita privata di una persona pubblica” – lo stesso Ferrara, in questo caso – che trova il modo di parlare delle sue “foto nude al mare” in un drammatico frangente come quello dell’arresto di un amico, spingendo la sua vanità e il suo egocentrismo fino alla richiesta di mostrarne copia a un poveretto che è in carcere e che presumibilmente avrà ben altri cazzi per la testa cui pensare.
Il secondo punto sul quale bisogna dar ragione a Ferrara è relativo al fatto – così scrive – che “siamo un paese impazzito”. In quale altro paese, infatti, se ti arrestano un amico, per consolarlo gli mandi le tue “foto nude al mare”?

"Obama salva il Papa"?


La sintesi giornalistica – “Obama difende la Santa Sede”, “Obama salva il Papa”, ecc. – è buona solo per i titoli. In realtà, basta poco per capire che l’iniziativa della Casa Bianca presso la Corte Suprema – in appoggio alla tesi difensiva del legale della Santa Sede, contro quella accusatoria del Tribunale distrettuale dell’Oregon, recepita dalla Corte d’appello federale – è un atto dovuto, congruamente motivato da ragioni che sono di natura squisitamente giuridica e che, pur assecondandole, precedono di gran lunga quelle di natura politica e diplomatica.
Il caso in oggetto presenta un’analogia con quanto avvenne con l’amministrazione Bush, nel 2005, anche se l’analogia sta solo – ma non è poco – nel principio che, anche qui, a fronte delle istanze poste dall’ipotesi accusatoria che un Tribunale distrettuale avanza nei confronti di un capo di stato estero, la Casa Bianca è tenuta a far valere, per ribadire l’esclusività di tale prerogativa.
Oltre questa analogia, tutto è diverso: in Texas, nel 2005, il processo era in sede civile; si discuteva di fatti avvenuti quando Joseph Ratzinger non era ancora un capo di stato estero; la denuncia nei suoi confronti era a titolo individuale, e non in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; infine, la questione non pendeva dinanzi alla Corte Suprema, ma dinanzi al Presidente degli Stati Uniti, il solo a poter concedere l’immunità ad un capo di stato estero.
Stavolta la questione è un po’ diversa, come sottolinea l’avvocatura della Casa Bianca: “La Corte d’appello [federale] ha errato nel ritenere che il Tribunale distrettuale [dell’Oregon] abbia la giurisdizione per discutere le accuse nei confronti della Santa Sede a causa degli abusi sessuali commessi da un prete”, perché – come opposto dai legali della difesa – “i contestati abusi sessuali non rientrano nella finalità dell’impiego del prete” ed è per questo – solo per questo, ma mi pare di poter dire che non sia poco – che viene meno ogni possibilità di coinvolgere il rappresentante di uno stato straniero nei risvolti penali della “finalità d’impiego” di un “lavoro dipendente”. L’ipotesi accusatoria è stata costruita in modo pedestre, diciamocelo chiaramente.
La stessa cosa è accaduta anche in Kentucky, e anche in questo caso la questione è stata portata dinanzi alla Corte Suprema, nello stesso periodo, verso fine marzo: qui non sappiamo se l’ipotesi accusatoria si sia basata, come in Oregon, su quel “rapporto di impiego” che vi sarebbe tra papa e sacerdoti, fatto sta che non abbiamo notizia di analoga iniziativa degli avvocati della Casa Bianca. Seguirà a breve, senza meno, ma anche qui, quand’anche i legali delle vittime abbiamo costruito una più solida argomentazione, rimane l’insormontabile l’ostacolo posto dai privilegi di cui gode un capo di stato estero come il papa.

È qui che si rilevano ridicole – mi pare – le fantasie di chi immagina un papa sul banco degli imputati. Praticamente impossibile. E meno male, aggiungo. Sul piano propagandistico – e la propaganda è tutto per le autocrazie – la cosa tornerebbe di enorme vantaggio alla Santa Sede, qualunque fosse l’esito del processo, anche se celebrato in contumacia.
A un anticlericale serio torna assai più utile che la Chiesa di Roma si mostri ancora una volta, come sempre, salda nei suoi “odiosi privilegi”, priva di ogni scrupolo pur di difenderli, e felicemente amorale, forte di quel potere che costringe lo stato a fare i conti, prima che con la ragion di stato, con le procedure del diritto internazionale, in quell’inestricabile connubio di interessi che sacrifica senza pietà i poveracci. Incontestato, infatti, si legge su Wikipedia: “La Santa Sede è il Governo del Vaticano e come tale ne esercita i diritti diplomatici attivi e passivi. Lo Stato della Città del Vaticano e la Santa Sede sono entrambi soggetti sovrani di diritto pubblico internazionale, universalmente riconosciuto e sono indissolubilmente uniti nella persona del Papa, monarca assoluto per via elettiva, che è il Capo dello Stato. Pertanto il Vaticano non ha una vita politica propria, che non sia perfettamente combaciante con l’attività della Santa Sede. Se ne deduce che il Vaticano deve rimanere soggetto alla pienezza assoluta del Pontefice”. Ed è per questo che gli “odiosi privilegi” del papa tornano utili a chiunque voglia sottolineare la natura più intima dell’autocrazia che incarna.
E dunque la notizia che giunge dagli Stati Uniti è un’ottima notizia: un papa processato e condannato sarebbe un Crocifisso vivente; processato e assolto sarebbe un Cristo trionfante; improcessabile e impunito rimane emblema dell’arroganza e della prepotenza, come d’altronde è, ed è utile venga visto.



Nota
A parte, e per chiarire che questo post non vuole neanche indirettamente portare buone ragioni alla Casa Bianca, vorrei rammentare che questo blog non ha mai speso eccessive simpatie per Obama, né prima né dopo la sua elezione. Anzi, anche quando si è trattato di considerarlo “meno peggio” del suo sfidante nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti, qui non si è mai evitato di sottolinearne le ambiguità. 

domenica 23 maggio 2010

[...]



“L’omosessualità è gradita a Satana in quanto induce l’uomo a violare le sacre leggi naturali”

sabato 22 maggio 2010

Quando era "persona", adesso neanche è "vita"


Chi sostiene che la persona sia già presente nell’ovocellula fecondata – solitamente per equiparare l’aborto a un omicidio – la individua nel patrimonio genetico umano che lì viene a determinarsi dalla fusione dei due gameti, e cioè dalla fusione dei loro nuclei aploidi in un nucleo diploide, in cui il Dna ha l’unicità e l’irripetibilità che sarebbero proprie – appunto – della persona.
Mi sono intrattenuto molte volte sulla debolezza di tale argomento, ma oggi voglio considerarlo incontestabile e sottoscriverlo: “Da quando si uniscono i patrimoni genetici dell’ovulo e dello spermatozoo, inizia un processo che è unico e irripetibile proprio perché nessuno al mondo ha un Dna uguale a quello di quella cellulina fecondata” (1). Sì, voglio sottoscrivere anche quel tenero “cellulina”.

Non faccio in tempo a sottoscriverlo che su L’Osservatore Romano, a commento del fatto che è stata “ottenuta in laboratorio una cellula con Dna artificiale”, leggo: “Pur essendo un ottimo motore, [il Dna] non è la vita” (2).
Da quando era persona, adesso neanche è vita.


(1)  Carlo Bellieni (zenit.org, 28.4.2004)
(2)  Carlo Bellieni (L’Osservatore Romano, 22.5.2010)

venerdì 21 maggio 2010

Grosse seghe



Le maglie che la Juve indosserà nel prossimo campionato sono tutto un programma.

Tra “i politici che in questi anni lo hanno difeso”



“Giovane democratico ci spiega tutto quello che il Pd pensa davvero di Santoro” (Il Foglio, 21.5.2010). Tolte le pagine che citano quello che pensa di Santoro, e che Il Foglio gli fa l’onore di fargli dire a nome di tutto il Pd, Google è assai avaro di voci sull’onorevole Stefano Esposito: è citato quasi esclusivamente per indicarlo tra i parlamentari del Pd che erano assenti in aula quando lo “scudo fiscale” passò per una manciata di voti, e per la sua attivissima presenza su Facebook.
Ennesima dimostrazione di quanto Google non dia a ciascuno il suo, perché a dispetto del poco che se sa, l’Esposito ha doti eccezionali: prima che Santoro spiegasse le sue ragioni, ieri sera, ne aveva già un’opinione, ieri mattina. Non è geniale?

Santoro avrebbe detto: “Gli unici ad avere sicuramente ragione, e che possono dire di tutto, e di più, e che possono perfino insultarmi, sono gli spettatori. E sono gli spettatori perché c’è una ragione profonda. Un programma come il nostro non crea un movimento politico, non crea un partito, ma crea una comunità in cui si investono sentimenti, emozioni, passioni, dialoghi, si riesce a parlare con qualcun altro la mattina dopo”.
Errato. La mattina dopo era inutile parlare, l’Esposito l’aveva fatto, e a nome di tutto il Pd: “Michele Santoro dice di essere stanco di una battaglia con l’azienda che va avanti ormai dal 2002, dal famoso «editto bulgaro» di Silvio Berlusconi. Giustificazioni che offendono per la loro scarsa sostanza i telespettatori e i politici – tra cui me – che in questi anni lo hanno difeso in nome della libertà di informazione”.
Non c’erano state ancora le giustificazioni, ma l’Esposito già sapeva che fossero di “scarsa sostanza”. Geniale, senza dubbio.

A questo punto non varrebbe nemmeno la pena di ascoltarle e tuttavia, giusto per mettere in risalto le straordinarie doti dell’Esposito, vediamo Santoro cosa dice: “Nonostante due sentenze dei giudici di primo grado e di appello, i partiti di destra e di sinistra, e di sinistra, che controllano la Rai e la stanno conducendo, a mio parere, sull’orlo di una crisi molto grave, non hanno mai voluto prendere atto di questa sentenza fino in fondo e infatti hanno fatto sempre ricorso, la prima volta, la seconda volta e adesso in Cassazione. Che cosa è successo? Che mentre loro facevano ricorso – adesso in Cassazione – nel frattempo Annozero andava in onda per quattro stagioni, 122 puntate, e la Rai grazie al fatto che Annozero andava in onda e che un giudice l’aveva messo in onda, badate bene, ha realizzato grandissimi profitti e tutti questi profitti la Rai li ha incassati e giustamente li ha spesi per fare anche altri programmi magari meno nobili di Annozero. Ora, che cosa succedeva mentre la Rai incassava questi profitti? Contratti bloccati, posizioni congelate, punizioni, minacce di punizione…”.

Una descrizione dei fatti che non corrisponde a ciò che l’Esposito ha scritto e che Il Foglio gli ha tempestivamente pubblicato, ma è chiaro chi dei due abbia ragione e, anche se non c’è traccia in giro di uno Stefano Esposito che abbia mai “difeso” Santoro, perché non credergli sulla parola? Non lo difende adesso, certo, ma chissà quante volte l’ha difeso in cuor suo.

Psicoantropologia clericale applicata


Alla sola descrizione di certi esperimenti in vivo c’è gente che ha bisogno dei sali: non riuscendo a cogliervi il fine scientifico, non vede altro che crudeltà gratuita, protesta, sta male, si lamenta, sviene. E dunque non so se faccio bene a raccontarlo.
Facciamo che i delicatucci sono avvisati, così evitiamo storie. Agli amanti della scienza, che in questo caso è la psicoantropologia clericale applicata, passo a illustrare l’esperimento.

Di ritorno a casa dopo una dura mattinata di lavoro, oggi, trovo nel parco il mio posto auto occupato da una Opel. Controllo l’istinto primordiale, scendo e vado a controllare se l’usurpatore abbia almeno lasciato le chiavi nel cruscotto. Buon per lui, ci sono.
Sposto la sua auto, lasciandola lì dove possa dare il massimo fastidio all’intero parco, e parcheggio la mia. Dalla quale sono appena uscito quando vedo sopraggiungere di corsa una suorina sulla sessantina: “Mi scusi, era solo un attimino… Dovevo solo lasciare… Mi scusi, pensavo…”.
Ero lì per dire: “Fa niente, sorella, problema risolto…”, quando la mia indole speculativa ha preso il sopravvento.

“Mi scusi, un cazzo… [spalancamento d’occhi, tremore al labbro inferiore] Sempre a chiedere scusa, e sempre dopo, mai una volta a pensarci prima… [tenue rossore sulle gote] Il mio posto auto, i poveracci bruciati vivi, Galileo Galilei, gli ebrei… [abbozzo d’un sorriso] e i bambini stuprati dai preti pedofili… [trasalimento repentino] Fate sempre il cazzo che vi pare, e poi chiedete scusa. Un attimino dopo, trenta, cinquanta, cento anni dopo, cinque secoli dopo, sempre dopo… [apre bocca come a dire, ma non dice niente] Basta, ci avete rotto i coglioni…”. Fine dell’esperimento.

Conclusioni: se non avevo l’argomento dei bambini abusati, probabilmente la suorina avrebbe in qualche modo sottolineato l’evidente sproporzione tra il massacro dei catari e il parcheggio della Opel, ma con quello non c’è stata partita. È cosa che ha lasciato il segno. Da considerare duraturo.

La vita è stupida di suo

È nel preciso istante in cui non è più possibile trovare alcuna differenza tra il “diamante artificiale” e quello “naturale” che il maggior pregio di quello “naturale” non si capisce più in cosa consista: stessa fisica, stessa chimica.
Ci si è riusciti con l’inorganico, nonostante le resistenze delle compagnie diamantifere, ci si riuscirà pure con l’organico, nonostante tutto: ci vorrà molto tempo ancora, ma alla fine non sarà più possibile trovare differenza tra “vita artificiale” e quella cosiddetta “naturale”, e discriminare sarà prima impossibile che insensato. Perché? Gesù, che domande, perché si può. Ogni volta che si è potuto, prima o poi si è fatto.
Tutti a sputare nel piatto dove mangeremo, intanto, come se fossimo certi di poterne fare a meno. Che stupidi siamo, speriamo che quelli “artificiali” vengano meglio. E tuttavia è pressoché certo che è inutile sperarlo: la vita è stupida di suo, il suo intramontabile fascino è tutto lì.
E dunque grazie a chi resiste.

"Chi amiamo, e se amiamo qualcuno, dovrebbe essere irrilevante per la legge"



(progetto fotografico di Chiara Lalli)

giovedì 20 maggio 2010

Comunicazione di servizio


Anche Makia lascia il Cannocchiale, annotate il nuovo indirizzo: http://makia.wordpress.com/.

Il vescovo e la sciocchina


Quasi tutti positivi, i commenti alle belle parole della Carfagna, anche se adesso non guasterebbe un bel gesto, “fatti concreti”, perché incidentalmente la signora è ministro.
Quasi tutti positivi, i commenti, fatta eccezione per qualche acidità de il Giornale e de Il Foglio: non una parola di Avvenire, men che meno de L’Osservatore Romano. Capita, cioè, che un personaggio pubblico, addirittura un ministro, abbandoni la Verità e sposi la moda del secolo, quella che riconosce piena parità di diritti ai non-eterosessuali e condanna ogni discriminazione ai loro danni, e non c’è uno straccio di tonaca che voglia dire due parole: per sentire un prete che mugugna bisogna andare per catacombe. Qui, il vescovo emerito di Alghero, monsignor Antonio Vacca, dà un saggio straordinario di cosa capita a un ministro, quando abbandona la Verità.

“Il ministro poteva risparmiarsela quella dichiarazione”. Duole che un politico non sia aderente al magistero morale della Chiesa, ma duole assai di più che faccia scandalo dichiarandolo pubblicamente. Soprattutto se a capo di un dicastero pertinente.
Se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici”, com’è possibile? “Bisogna vedere nei fatti quanto ci sia di cattolico nelle singole persone”. Non è un darle della troia, senza dubbio, ma forse c’è qualcosa che è pure peggio: “La politica é ricerca del consenso anche a buon mercato. Esiste la convenienza politica e l’appoggio dei gay é importante, vista la loro influenza”. Insomma, la Carfagna s’è venduta i valori.
C’è di più: se “il governo si è sempre dichiarato vicino ai valori cattolici” e nel singolo ministro c’è poco di cattolico, quel ministro è in qualche modo fuori dal governo, ectopico perché atipico.

Basta? Macché. Sua Eccellenza chiude la sua riflessione con un gesto di carità: “Sono certo che in realtà il ministro non la pensi esattamente così”. Mente o parla senza sapere cosa dice, la sciocchina.