martedì 25 maggio 2010

Il grilletto


Nella prolusione con la quale ha aperto l’Assemblea generale della Cei, ieri, il presidente Angelo Bagnasco ha ripreso l’argomento usato da Francesco D’Agostino in un editoriale dedicato al 150° dell’Unità d’Italia (Avvenire, 5.5.2010), che ho già commentato (qui).
Dalla banale distinzione tra stato e nazione, D’Agostino arrivava a questo: “L’Italia, da un punto di vista culturale, artistico, linguistico e soprattutto religioso, era già unita da secoli e secoli [prima del 1861]; e qui, come ho già scritto, andava sottolineato il “soprattutto”, nel quale è posta la tesi che una nazione trovi identità “soprattutto” nel culto religioso che nella sua storia si ritrova vincente sugli altri. Il che implica due assunti: che nazioni tradizionalmente multiconfessionali come quella indiana sia “meno nazione” di quella italiana, la quale invece è tanto monoconfessionale da aver avuto fino all’altrieri addirittura una propria religione di stato, e proprio nel cattolicesimo, che era religione di stato addirittura nel Regno di Savoia; in secondo luogo, che l’Unità d’Italia sia evento notarile sul piano storico, perché “già molto, molto prima di costituirsi in Stato unitario, l’Italia si era già costituita, attraverso la sua lingua, i suoi costumi, la sua arte, la sua religione in nazione e tra le più antiche d’Europa”.
In questo secondo assunto è posta un’ulteriore tesi – a corollario della prima, o forse tesi autonoma, chissà – per la quale l’Italia non esiste se non nell’omogeneità di lingua, costumi, arte e religione, tutta roba più affine al sangue che al suolo. O a un suolo culturalmente egemonizzato.
Tutto questo, in Bagnasco, assume forma di manifesto: “I credenti in Cristo continueranno a sentirsi, oggi come ieri, tra i soci fondatori di questo paese”.

Com’è che questa nazione così antica, identitariamente così cristiana, è arrivata così tardi a darsi uno stato unitario? Chi vi si è opposto? E com’è che proprio il Papato, vertice del cristianesimo, è stato così a lungo ostile a questa unità, prima, durante e dopo? È evidente: prima, durante e dopo, quella Unità d’Italia non piaceva al Papa, per il semplice fatto che sanciva sul piano politico l’egemonia papale sull’Italia.
Ma, insomma, questa nazione italiana – che è cosa “soprattutto religiosa”, non dimentichiamo – voleva o non voleva l’unità statuale? Sì, ma probabilmente la voleva sotto il Papa. Non voleva l’annessione dello Stato Pontificio al Regno di Savoia, semmai il contrario. Poi, dopo un mezzo secolo e più, si è rassegnata a tenersi uno stato laico, rinunciando al Papa-Re. Non c’è contraddizione?
Bagnasco non teme le contraddizioni: “La questione in particolare dei rapporti tra Stato e Chiesa, e di conseguenza l’esplicazione di una autentica laicità, è stata per noi italiani una vicenda forse un po’ più complessa che per altri, costata dibattiti e lacerazioni che hanno tormentato le coscienze più vigili; ma oggi − per i termini in cui è definita (cfr Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di modifica al Concordato Lateranense, 18 febbraio 1984) − essa si presenta come un approdo di generale soddisfazione”.
Tutte le contraddizioni? Finiscono in Concordato. E tuttavia sia chiaro: “È «l’interiore unità» e la consistenza spirituale del paese ciò che a noi vescovi oggi preme”. È il grilletto che vi si dovrebbe premere.

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