venerdì 2 settembre 2011

“A vent’anni stavo in barca con D’Alema, a trent’anni dormivo a casa di Berlusconi”


Non fosse caduto in disgrazia, il suo curriculum vitae farebbe invidia a tanti: “A vent’anni stavo in barca con D’Alema, a trent’anni dormivo a casa di Berlusconi”. In un paese dove il successo è così spesso dato, e quasi sempre rappresentato, assai più che dal pubblico riconoscimento di meriti, dall’intimità privata che si riesce a poter vantare coi potenti, Giampaolo Tarantini non poteva a buon diritto dirsi un uomo di successo? Non fossero venuti a galla i suoi maneggi, che da subito, e per sua stessa ammissione, hanno mostrato i caratteri della spregiudicatezza che si è fatta ripetutamente prossima al reato, chi non avrebbe dato per scontato che tanta confidenza con due uomini così potenti, due autorevolissimi leader politici, due premier, fosse prova provata di qualche sua indubbia dote, ancorché ignota, comunque degna di un meritato successo? Tanto più solido, nel suo caso, per la caratura dei potenti coi quali, ancora fino a ieri, poteva vantare di aver intrattenuto rapporti personali, per il grado di intimità di queste frequentazioni, per la continuità nel tempo e per la trasversalità di ambienti.
Ora, ammettiamo per pura ipotesi che il nostro uomo di successo non sia in carcere, che le vicende delle quali è stato protagonista non siano mai arrivate sulle scrivanie dei magistrati che indagano sul suo conto, né nelle pagine di politica interna e di cronaca giudiziaria. Ammettiamo, dunque, di ignorare quanto sappiamo sul suo conto e di essere ospiti a casa sua, in poltrona, con un bicchiere in mano, a un metro da un tavolinetto sul quale, in splendide cornici di radica o d’argento, stiano due foto: Giampaolo Tarantini accanto a Massimo D’Alema, ritratto al timone della sua Ikarus; Giampaolo Tarantini sotto braccio a Silvio Berlusconi, sui prati della tenuta di Arcore. Chi oserebbe sospettare di essere a casa di un delinquente? Ve lo dico io: solo chi nutra il pregiudizio che, per sua intrinseca natura, il potere non possa fare a meno di concedere intimità a dei delinquenti.
Ve la sentite di farvi vittima di questo pregiudizio? O preferite rinunciare a un altro pregiudizio, che è quello di considerare di per se stesso un merito l’intimità coi potenti, che pure è esibita da tanti uomini di successo, non necessariamente delinquenti? Io vi consiglierei questa seconda opzione. E allora dovete cominciare a guardare con sospetto quel genere di foto, quel genere di cornici, quel genere di tavolinetti. Dovete cominciare a non invidiare la prossimità al potere e a sospettare della sua esibizione, che è colpevole sempre.

8 commenti:

  1. Approvo molto questo contributo. Mi fa pensare a una cosa che ho osservato spesso a causa del maleficio ammaliante di cui non va certo immune anche la bruttezza (quando è davvero estrema). In certi bar o negozi di barbiere o ristoranti di seconda e terza categoria si possono osservare spesso delle fotografie che mostrano i proprietari di quegli esercizi abbracciati sorridenti a personaggi famosi (in genere calciatori o sportivi, ma anche uomini o donne di spettacolo e, in qualche caso, politici). Ho sempre trovato estremamente ripugnanti (e dunque anche attraenti, inevitabilmente) codeste immagini. L'incontro "fortuito" di un momento col divo capitato nei paraggi, strappato alla casualità che l'ha determinato da cima a fondo e perciò fissato nell'icona che vorrebbe suggerire frequentazioni assidue e intimità incoffessabili (c'è tutto il desiderio di una vita nascosta, anzi di una seconda vita, che si manifesta in questi casi). Una pena unica.

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  2. Un mio conoscente appare in una gigantografia appesa alla parete del suo ufficio in grande intimità con Giovanni Paolo I. Cosa dovrei pensare?

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  3. @ lector
    Che è un uomo di successo, ma effimero.

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  4. @ lector
    Che in caso di screzio è meglio se rifiuti l'invito ad un caffè o altra bevanda riparatrice.

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  5. Io, invece, quando ho visto la foto, ho immediatamente pensato a uno cui piace fare una carezza ai bambini in nome del papa, anche se il papa della carezza era un'altro, quello buono, per distinguerlo dai suoi colleghi, normalmente cattivi. Chissà perché m'è venuta in mente una simile associazione. Siamo troppo suggestionati dalla tv, accidenti.

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  6. "un'altro" grida vendetta. Chiedo umilmente perdono. Non lo farò più.

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  7. Chiunque si metta a ostentare qualcosa (il proprio status, la propria ricchezza, il Ming crepato, la propria moglie, il suv ecc.) sa in cuor suo di non poter andare oltre. È finita con quella roba lì, insomma. Dall'età dell'essere regredisce a quella dell'avere.
    Guido

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  8. Ma, scusate, vi ricordate Manuel Fantoni?

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