venerdì 19 aprile 2013

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La ragione che ha spinto Jorge Mario Bergoglio a scegliere per nome Francesco risponde alla stessa logica che spinse Innocenzo III a dare assenso alla costituzione dell’Ordine francescano: quando dal basso salgono critiche perché il suo attaccamento al mondo s’è fatto imbarazzante, la Chiesa corre ai ripari e aggiusta la sua immagine. Mai niente di davvero sostanziale, la Grande Puttana si rifà il trucco. L’ho twittato a caldo, subito dopo l’ultimo «habemus papam», e la sintesi ha necessariamente sacrificato l’argomentazione. Qui cercherò di spiegarmi meglio, chiarendo innanzitutto quale sia la logica che non consente mai più di un maquillage, e che tuttavia lo impone a scadenze pressoché costanti. Successivamente vedremo perché non le è consentito più di tanto. È un post che devo ai tanti che mi hanno scritto nelle ultime settimane chiedendomi un parere su questo pontificato.
Prima, però, devo chiarire perché affermo che a correre ai ripari, in tali momenti cruciali, non siano le gerarchie ecclesiastiche, ma  – come ho detto la Chiesa, nel suo insieme. Senza dubbio, infatti, il trattamento è a cura dei chierici che rivestono le più alte cariche nella piramide, perché come promotori o facilitatori dell’operazione hanno un ruolo insostituibile, ma è l’ecclesia nel suo insieme che è allo stesso tempo – per restare sull’allegoria – specchio e faccia.
Anche chi ha solo superficiali nozioni della bimillenaria storia della Chiesa non può ignorare che ogni conato di riforma che le nasce in seno per diventare eresia fino allo scisma oppure per essere riassorbito per digestione interna o esterna, come è nel caso dei maquillage cui ogni tanto ricorre  è sempre caratterizzato da un bisogno di recuperare di qualcosa che si avverte essere andato perso dell’originale messaggio evangelico, della primordiale forma ecclesiale, ecc. Nessuna riforma religiosa nasce come fuga in avanti, ma sempre nellistanza di un ritorno al punto in cui qualcosa è andato smarrito. Un recupero che ovviamente è impossibile, non fossaltro perché nella sua forma primigenia il cristianesimo è irripetibile, e tuttavia, qualunque sia lesito dell’operazione, la patina di autenticità di cui la Chiesa si ricopre in tali frangenti deve rispondere sempre allimmagine di quanto si è ritenuto fosse andato perso, e questi connotati possono essere validamente rimarcati solo nel rispetto di una continuità che trascende le contingenze. 
Di sé, daltronde, la Chiesa ama dire che «semper reformanda est», ma di fatto il levare quel di più che dal mondo ha cominciato col tornarle utile, per diventarle poi sempre più dannoso, si rivela sempre un sovrapporre immagine a immagine, e in ciò si realizza – ben più che in metafora  quanto è accaduto con la fabbrica di San Pietro, nella quale, di secolo in secolo, gli altari sono stati eretti luno sullaltro, come impilati nel corso del tempo: nulla va perso, tutto rimane nelle viscere del Vaticano.

Non  è mai accaduto – probabilmente non accadrà mai  che un movimento nato in seno al popolo cristiano si sia dato atteggiamento critico verso le gerarchie ecclesiastiche coeve senza che l’accusa contenesse la denuncia di un tradimento. Sta di fatto che il voler essere «nel mondo, ma non del mondo», comporta inevitabili scivolamenti, ed è proprio dove il mondo ha i suoi punti più scivolosi che le incongruenze di cui son zeppi i Vangeli consentono interpretazioni ampiamente divergenti, sicché anche il richiamo allesempio di Cristo e dei suoi apostoli non è mai derimente. Nel corso dei secoli, così, sono andate a stratificarsi interpretazioni anche ampiamente divergenti, ciascuna prevalente per un determinato arco di tempo, e tutte coincidenti nelle ambiguità, quando non nelle contraddizioni, della Scrittura.
Sulla povertà, ad esempio. Cristo la elogia, ma indossa una tunica tessuta in un unico pezzo: un capo di vestiario che ai suoi tempi è da considerare assai prezioso. Perché i ricchi possano entrare nel regno dei cieli consiglia loro di vendere tutto e di distribuire il ricavato ai poveri, ma già negli Atti degli Apostoli leggiamo che quel compito è assunto dalla comunità protocristiana, che ha un tesoriere e una cassa. Fin da subito, dunque, e comunque ben prima che si faccia largo la convinzione che la venuta del regno dei cieli non sia imminente, l’accumulo di beni materiali diventa una costante della realtà ecclesiale.
Così con l’attributo regale e coi suoi derivati del potere temporale. In Giovanni si legge che, «sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, [Cristo] si ritirò in solitudine su un monte» (Gv 6, 15), ma poco dopo, a chi gli chiede se sia lui il re dei giudei, risponde:  «Tu lo dici, io sono re (Gv 18, 37). Certo, dice pure: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18, 36), ma il mandato apostolico è un vero e proprio vicariato di reggenza e già in Paolo leggiamo che «non cè autorità se non da Dio» (Rom 13, 1), il che fa del potere temporale un mandato divino, che non tarderà a trovare coincidenza col potere spirituale in un papa-re. Beni materiali e potere, insomma, non sarebbero affatto in contraddizione con l’esercizio del ministero, anzi ne costituirebbero la garanzia. Poi, sì, ci sono gli eccessi, ma si sa che la carne è debole.
Jorge Mario Bergoglio arriva al Soglio Pontificio in uno dei momenti più delicati della storia della Chiesa. Suppongo sia superfluo elencare tutti i suoi problemi odierni, basti dire che neanche uno dei tradizionali indicatori del suo benessere è attualmente in positivo. Da tempo si faceva pressante la necessità di ritoccare la sua immagine assai deteriorata dagli scandali che da almeno tre decenni si succedono incessantemente, per offrirne una nuova, tutta acqua e sapone. Per questa operazione serviva un uomo che sapesse incarnasse questa immagine e un gesuita era la persona più adatta. Maestri dell’inculturazione verticale e orizzontale, i gesuiti sono da sempre i più abili visagisti della Grande Puttana.   

4 commenti:

  1. Mi sembra un tantino forzata la rappresentazione di Cristo attratto dai beni materiali. Nel Vangelo si legge anche: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». (Lc 9,58). Inoltre la risposta a Pilato circa la questione del re dei Giudei ("Tu lo dici") non è da intendersi come affermazione; piuttosto, Cristo rispedisce al mittente la definizione e il senso è: sei tu a dirlo, non io.

    Per il resto ti leggo sempre volentieri. Un saluto.

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    1. Ma i Vangeli sono pieni di parole di Cristo che invitano alla povertà e poi c'è il passo in Gv 6, 1-15 nel quale, sapendo che stanno andando a prenderlo per acclamarlo re, Gesù si ritira sull'alto di un monte. Mica discuto su questi dati oggettivi. Dico solo che sono contraddittori e lasciano spazio ad interpretazioni buone ad ogni bisogna.

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  2. La Chiesa, amorevole nutrice dei chierici, deve pur portare la pagnotta a casa, ché questo è poi il suo scopo primario. Dio è un po' che non si vede, ma c'è chi dice che, a dire il vero, non s'è visto mai e quindi, forse ...

    Eterni parvenu con una imbarazzante storia familiare.

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  3. vabbe' ma i vangeli (quelli che si conoscono come i 4 vangeli) non hanno nessun valore storico , ma e' importante la semantica complessiva, il messaggio. io anche non mi illudo di questa presunta nuova fase. Non e' che basta chiamarsi francesco per essere come san francesco. vedremo che fara' questo papa con le nomine delle gerarchie che gli spettano , lo ior, i preti pedofili, beni ecclesiastici e roba simile. interesse per le premesse si ma entusiasmi prematuri no.
    gianni colacione

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