lunedì 2 settembre 2013

«... la seconda come farsa» («Strumento di democrazia diretta» / 4)

Dal 1974 al 2011, in Italia, si sono tenute 66 consultazioni referendarie abrogative in 16 tornate elettorali fino a un massimo di 12 quesiti per ciascuna: in 27 casi non si è raggiunto il quorum e nei casi in cui lo si è raggiunto si è avuto un progressivo calo dellaffluenza alle urne dall’87,7% del 1974 al 54,8% del 2011; in 36 casi dei rimanenti 59, la proposta di abrogazione è stata respinta; in almeno 18 dei 23 casi in cui il risultato ha premiato l’iniziativa dei promotori della campagna referendaria, il volere espresso dalla maggioranza degli elettori è stato sostanzialmente disatteso. Ancor più degli argomenti d’ordine teorico e pratico da lui esposti in Contro il referendum (Biblioteca della Critica Sociale, 1897) e che abbiamo già illustrato (1, 2, 3), sono questi numeri a dar ragione ad Arturo Labriola: «Passato il referendum, o tutto resta come prima o il suo risultato è assorbito dalla classe dirigente. […] È ritenuta manifestazione di radicale democrazia eppure è soltanto una pericolosa illusione ed uno strumento di conservatorismo». Ad oltre un secolo dalla sua lezione, tuttavia, c’è chi continua a credere nel referendum come strumento di democrazia diretta in grado di correggere i guasti della democrazia rappresentativa, o a fingere di crederlo. In buona o in cattiva fede, dunque. Nel primo caso, quasi certamente pesa la retorica che si è sviluppata attorno ai due referendum sul divorzio e sull’aborto, e che troppo spesso sembra in grado di far dimenticare che quelle due leggi furono approvate dal Parlamento, e che le urne si limitarono a confermarle respingendo la proposta di abrogazione. Nel secondo caso, basta pensare a Silvio Berlusconi che su consiglio di Giuliano Ferrara firma i referendum promossi da Marco Pannella e si ha la rappresentazione plastica dell’uso al quale la democrazia diretta si presta quando si fa strumento di quei loschi figuri che eccellono in cialtroneria e in mascalzonaggine.


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