venerdì 27 giugno 2014

«Essere di sinistra»? «Una cosa egoista».


Gilioli si sente un privilegiato. Non ha torto, perché lo è rispetto a tanti. Volendo, tuttavia, non potrebbe sentirsi tale. Voglio dire che potrebbe non bastargli quello che ha e sentire privilegiato chi ha più di lui. Sennò pensare di avere esattamente quel che merita e che dunque parlare di privilegio sia per lo meno improprio. Invece dice che gli basta quello che ha e che per dirsi felice – sì, parla proprio di «felicità» – gli manca solo «che lo siano anche quelli che vedo intorno a me». Non poco, direi, perché questo implicherebbe non solo che tutti avessero ciò che rende quasi felice lui, ma che riuscissero pure a farselo bastare.
Ora, non c’è dubbio che, ad avere quello che lui ha – ma anche di meno, probabilmente, e forse anche molto di meno – chi non l’ha potrebbe anche star meglio di come sta, e tuttavia pretendere che a costui possa bastare al punto da potersi dire felice implica che Gilioli vuole l’impossibile, cioè che il concetto di «felicità» sia uguale per tutti.
Si badi bene, non gli contesto che si dichiari quasi felice per ciò che si fa bastare: penso anch’io che solidi affetti, bisogni non eccedenti le proprie disponibilità e un lavoro che piace non siano affatto poco, anzi, non ho alcuna difficoltà ad ammettere che siano moltissimo. Quello che gli contesto è il vagheggiamento, sul piano ideale, e la ricerca, su quello pratico, della sua piena «felicità» nella pretesa, sul piano ideale, e nella proposta, su quello pratico, che quanto essa rappresenta per lui possa, e dunque debba, rappresentarsi in quanto tale per tutti.
Nella migliore delle ipotesi direi si tratti di un filantropismo un po’ paternalistico, nella peggiore direi si tratti di un cristianesimo senza Cristo, discretamente appiccicaticcio.

Quello che però ritengo sia assai più significativo è il motivo che Gilioli adduce al bisogno che il suo concetto di «felicità» possa, dunque debba, essere uguale per tutti: dice che si tratta di «senso di colpa», «un po’ quel meccanismo che ha portato a suicidarsi non pochi degli scampati all’Olocausto, che non sopportavano di essere tali, più o meno a caso, mentre altri, più o meno a caso, non ne erano scampati».
È questo che ci consente di escludere l’ipotesi di comunismo, che è roba più scientifica che psicologica. Dunque rimane quella del filantropismo un po’ paternalistico, e allora credo la questione – se di questione vogliamo parlare – si ponga nel chiederci cosa autorizzi Gilioli ad amare il prossimo suo come non è detto il prossimo suo voglia essere amato. E naturalmente non parlo di quella porzione del prossimo suo che ne condivide il concetto di «felicità» (lì dentro, in fondo, non mi troverei a disagio neppure io), ma di quella che lo rigetta perché immune dai problemi psicologici di Gilioli. Il quale non è un fesso e intelligentemente ammette che quanto è a fondamento del suo «essere di sinistra» è «una cosa egoista».
Viene da chiedersi quale sia lo spettro psicologico che include questo «essere di sinistra», perché, se dall’avere ciò che si ritiene basti a rendere quasi felice è naturale attendersi un «senso di colpa», dal non averne è naturale attendersi quell’«invidia» che per taluni sarebbe a fondamento psicologico dell’«essere di sinistra». Un Gilioli così inconsapevolmente berlusconiano, e chi se lo aspettava? 

Comparo questo «essere di sinistra» a quello di un Diciottobrumaio o di un Alterlucas e ci sento passare la stessa differenza che passa tra Florence Nightingale e Marie Curie. Scopro un Gilioli umorale, disarmato e disarmante, e nel giudicarlo così mi sembra quasi di fargli un torto, sicché mando un sms a chi penso possa dare un giudizio più avveduto: «I primi tre aggettivi che ti vengono per Gilioli?», chiedo. E la risposta è: «Autentico, appassionato e un po pirlone».  

9 commenti:

  1. Soprattutto pirlone. Gilioli fa paura, il suo paternalismo socialista è peggiore di quello dei preti.

    RispondiElimina
  2. Non sopporto le litanie di Gilioli, che lui non abbia alcuna profondità filosofica e non sappia maneggiare con cura espressioni come "senso di colpa" senza farsele scoppiare in mano è certo, ma che in questo post lui proietti il suo modello di felicità su quello degli altri è una tua invenzione e purtroppo è il sostegno logico a tutto il post.

    RispondiElimina
  3. a parte il suo personale essere di sinistra, vedo Gilioli come l'unico commentatore politico capace di delineare le dinamiche di quella parte politica senza ipocrisia, pregiudizio, e partigianeria. in quello e' super.

    RispondiElimina
  4. Eh..E' proprio quello il problema...Che il pianeta Terra è pieno de gente convinta de sape' qual è la felicità per tutti e il Bene per tutti. Senza manco chiederglielo..Nascono da lì tutte le violenze del pianeta Terra: la violenza primaria di chi gira per la Terra a portare a tutti il Bene e la violenza reattiva di chi, inevitabilmente, ad un certo punto si vede costretto a reagire a quella violenza con altrettanta violenza, per difendere il suo modo di pensare e di vivere.

    RispondiElimina
  5. Il passaggio sull'invidia è piuttosto rischioso: B vede nella propria vita il meglio del meglio cui tutti devono voler aspirare e presuppone che tutti vogliano esattamente quel che ha lui. Gilioli dice che gli piacerebbe tutti avessere delle condizioni minime per poter essere felici. Dato che non mi sembra cosa così strana pensare che le quattro necessità citate da Gilioli possano valere per tutti, mi sfugge il senso della critica.
    Oppure semplicemente si voleva porre l'accento sull'uso improprio dell'espressione "senso di colpa"?

    RispondiElimina
  6. " Voglio solo dire che anche la storia recente ha creato sommersi e salvati. Spesso a caso. Primo Levi lo racconta bene, come avveniva la fortuita combinazione che ti salvava o no la vita, allora. Questa crisi – di nuovo si parva licet – è stata altrettanto assurda nelle scelte delle sue vittime."

    A me sembra che sia qui, in queste parole, il cuore del ragionamento di Gilioli.
    I 'sommersi e i salvati' di cui non sai darti una ragione, se non quella di una cieca casualità.
    Il senso di una ingiustizia intollerabile che a volte fa star male e appanna anche la propria, personale felicità.
    Che è una felicità tutta soggettiva, ovviamente: nessuno-non credo Gilioli-può immaginarne una valevole per tutti.
    Ma 'altro' è il senso del suo post, che è anche un po' una confessione (come capita, non di rado, nei post di Gilioli).
    Semplicemente si vorrebbe che a tutti ne fosse data

    RispondiElimina
  7. "Semplicemente si vorrebbe che a tutti ne fosse data "
    Pardon. L'inizio di una riflessione ulteriore non ultimata e rimasta nella tastiera.

    RispondiElimina
  8. Il post di Malvino che decostruisce Gilioli è il Santo Graal del mio universo internettaro, e induce l'aspettativa di un tripudio di esplosioni filosofiche, schegge retoriche e terremoti morali (il mio immaginario è evidentemente influenzato dai duelli tra supereroi Marvel).
    E invece (come nei film Marvel) lo spettacolo è deludente. Gilioli tenta una goffa fondazione della propria morale; Malvino, a disagio nel ruolo (che pure si è scelto) del cupo inquisitore, si sforza di fargli confessare una cosa qualsiasi purché esecrabile. Mah. Ora aspetto con ansia la vendetta di Gilioli.

    GF

    RispondiElimina