lunedì 18 agosto 2014

«La mia generazione ha vinto»

Wikipedia fa buona sintesi del significato sociologico del termine generazione, dice che «identifica un insieme di persone che è vissuto ed è stato esposto a degli eventi che l’ha caratterizzato» e precisa che «le generazioni non esistono sistematicamente, [perché] vi sono periodi della storia in cui non si è verificato nessun evento caratterizzante», aggiungendo che «i giovani d’oggi ne sono un esempio»: anche se «alcuni sociologi hanno parlato di “generazione internet”», infatti, il web «non può essere definito come evento caratterizzante poiché comprende un vasto insieme di persone che hanno cominciato a usufruir[ne] (anziani, adulti, giovani e persino bambini)». Nulla aggiunge sul significato corrente del termine, solitamente usato per indicare quell’arco temporale di circa 25 anni che intercorre tra due generazioni successive, come da esempio offerto dai più aggiornati lemmari con quella generazione X che, pur «priva di un’identità sociale definita», come ebbe a precisare chi coniò il neologismo (Jane Deverson), voleva avere mera delimitazione anagrafica, includendo «chi è nato negli anni Sessanta e Settanta del Novecento».
Con le dovute scuse al lettore che avrà storto il muso per la pedante premessa, possiamo passare a chiederci se sia legittimo immaginare una generazione che includa chi è nato tra il 1° gennaio del 1970 e il 31 gennaio del 1979. Si tratta del parto della crassa fanfaronaggine di una delle più grottesche maschere che negli ultimi anni abbiamo visto affannarsi, quasi sempre con esiti tragicomici, per entrare nella posa che fotografa lo sfascio culturale e morale di un paese di merda, quel Mario Adinolfi che ne teorizzò l’esistenza alcuni anni fa, battezzandola Generazione U (Hacca, 2007). Non suoni tutto ironico, il teorizzare, perché tra le accezioni estensive di teoria vi è anche l’opinione scacazzata a punto e virgola, a serpentina, a spruzzo e a palline, e un’occhiata all’esilarante librettino è in tal senso dirimente: la generazione U non aveva altra caratteristica che essere quella «degli under 40» – generazione perenne, potremmo dire, sicché oggi il suo teorizzatore ne è fuori – mentre a cercare di coglierne i tratti che le dessero forma, se non struttura, non si poteva attingere che dai suoi gusti – I dieci film della Generazione U (300, La messa è finita, Matrix, ecc.), I dieci libri della Generazione U (Albert Camus e Paolo Villaggio, la Bibbia e Indro Montanelli, ecc.), e via elencando, come da pagina di Smemoranda – patenti proiezioni di un (allora) 36enne che si attardava nei sogni ad occhi aperti che sono delizia dell’adolescenza pronta ad abbracciare la croce della disillusione. Trovato su una bancarella dei libri scampati al macero, nel comparto di quelli al prezzo di 50 centesimi, riposa oggi in uno degli scaffali coperti pudicamente dagli schienali dei divani, tra Nel 2006 vinco io (e intanto gioco a governare) di Pierluigi Diaco (Mondadori, 2001) e Poveri ma ricchi – La favola del grande declino italiano di Filippo Facci (Mondadori, 2006). Anche Generazione U ha un sottotitolo notevole: Storia e idee di un blogger che vuole cambiare l’Italia. Poteva far paura, oggi strappa un sorriso.
Perché parlarne oggi? Perché oggi Mario Adinolfi afferma: «La mia generazione ha vinto»«Il simbolo fin troppo evidente è il potere imperiale assegnato a Matteo Renzi (1975)», e poi c’è Paolo Sorrentino (1970), Roberto Saviano (1979), Checco Zalone (1977), Fabio Volo (1972), Matteo Salvini (1973), Giorgia Meloni (1977), Angelino Alfano (1970), Matteo Orfini (1974), e tanti altri ancora, poco importa che non ve ne fosse uno a sottoscrivere le cazzate che lui scriveva nel 2007, poco importa che in un modo o nell’altro quelli siano riusciti a «cambiare l’Italia», mentre nel frattempo Mario Adinolfi è riuscito solo a cambiare bermuda, perché la proiezione ha questo di potente: investi a gratis e qualcosa comunque porti a casa. Mario Adinolfi guarda Matteo Renzi e sente scorrergli nelle vene un po’ di «potere imperiale», guarda Paolo Sorrentino e sente che quell’Oscar è anche un po’ suo, guarda Salvini, Meloni, Alfano e si sente segretario di partito. È facile, via, provate anche voi. Che siate nati tra il 1° gennaio del 1940 e il 31 gennaio del 1949 o tra il 1° gennaio del 1950 e il 31 gennaio del 1959 viene bene uguale. Se poi siete nati tra il 1° gennaio del 2000 e il 31 gennaio del 2009, non vi resta che attendere: vedrete che qualcosa vincerete di sicuro. Sicché non vi date troppo affanno, potrete anche avere «il limite di apparire una generazione “leggera”, incapace di complessità, forse superficiale», dovreste certamente «migliorare ed essere più credibili, studiare forse di più, leggere certamente di più», ma non preoccupatevi troppo, perché ci sarà qualcuno della vostra generazione che lo farà per voi, sicché potrete dire di aver vinto comunque. L’importante è che cominciate per tempo a sentirvela dentro. 

3 commenti:

  1. Scusi ma lei è troppo severo. Lei prende a esempio questi autori rimproverando loro di non essere dei mostri di bravura o dei genii o dei maestri! Sono semplici individui che si dibattono nella solita miseria umana che è dei più. Diciamo che è normale. Sarebbe stato degno di onore e gloria il contrario, ovvero che qualcuno di questi abbia davvero dato qualcosa di meritevole al mondo. Non è successo.
    Rp

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  2. Insomma una persona del tutto normale che guarda Salvini,la Meloni e Alfano può pensare che di fatto non sia così impossibile ed esclusivo diventare segretario di un partito. E' il sogno americano targato made in Italy, 'anche tu ce la puoi fare'.
    L'importante è partecipare.

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