venerdì 9 gennaio 2015

Coda

Molte email di protesta, alcune accompagnate da insulti, mi costringono a tornare su quanto ho scritto in morte di Pino Daniele.


Se uno ama la città in cui è nato, la lascia solo è costretto a farlo. La lontananza gli causa nostalgia. Vi ritorna ogni volta gli sia possibile, anche se solo per poco. Nulla di tutto questo nel caso di Pino Daniele. Lasciò Napoli per sua scelta, appena ebbe modo di comprarsi una casa altrove. Su quella decisione non tornò mai indietro, né diede modo di fare intendere gli fosse dolorosa. Andò a vivere ad appena due ore di auto da Napoli, ma per anni e anni evitò di metterci piede. Ancora nel 1993 diceva di non volervi neppure tenere un concerto e, quando nel 1998 si decise a farlo, nelle due settimane di preparazione all’evento, la sera preferiva tornare a dormire a Sabaudia. Poi, certo, tutto sta nel metterci d’accordo su cosa significhi Napoli. La sfogliatella di Scaturchio? Il Cristo velato del Sanmartino? Totò e il ragù? E allora sì, possiamo dire che Pino Daniele amasse Napoli. Se invece per Napoli intendiamo la stragrande maggioranza dei napoletani – il minimo comune multiplo e il massimo comun divisore di quei vizi morali che ne fanno il carattere trasversale alla più lercia plebe, alla più vile borghesia, alla più fatiscente nobiltà – non possono esserci dubbi: Pino Daniele non la sopportava, non la sopportava affatto. E teneva a marcare le distanze: «Io non sono figlio di Napoli… È un popolo che ha bisogno sempre di un re. O di un Masaniello» (Corriere del Mezzogiorno, 3.6.2011). Più di tutto, odiava come questa Napoli le si stropicciasse addosso e coi funerali in Piazza Plebiscito ha pagato con interessi salatissimi l’averla tenuta a debita distanza. Quando diceva: «Io amo e odio Napoli», parlava di due Napoli diverse: la prima era la città che non avrebbe mai avuto il bisogno di lasciare, quella che forse immaginava fosse esistita un tempo, e chissà quando, o quella che avrebbe potuto finalmente essere (fidava in Antonio Bassolino, povero Pino Daniele!); la seconda era quella reale, a cominciare dalla famiglia di provenienza. Coi funerali in Piazza Plebiscito a Pino Daniele è stata inflitta la punizione che era impossibile infliggergli da vivo: mummificarlo in icona della napoletanità, quel tappeto sempre più logoro sotto il quale si continuano a nascondere secoli di sporcizia. Un altro comodo pretesto di fierezza per gente che forse, e dico forse, avrebbe una pur minima speranza di riscatto nel cominciare col vergognarsi di se stessa. 

21 commenti:

  1. ognuno le sue icone, come firenze con Dante, che lui odiava e ne fu anche cacciato, tant'è che la racconto' come il peggiore dei mali, nella divina commedia, eppure per i fiorentini e' il loro vanto, ed ogni momento gli infliggono la stessa punizione.......

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  2. Premessa (fondamentale): Anche il sottoscritto ogni santo giorno pensa di vendere tutto e abbandonare questa terra maledetta e arida, che nonostante i quotidiani tentativi di semina e concimazione, non dà mai i frutti sperati.

    Però il sottoscritto crede anche che questa (Napoli) è la sua terra e che se ce ne andassimo tutti non resterebbe manco più la speranza (che notoriamente è l'ultima a morire ma ha sempre bisogno di qualcuno che la speri).
    Quindi si resta e si cerca di lavorare (con tutti i limiti eh!) per migliorare le cose.
    Chi va via, ha sempre ragione. Certo. Ma chi resta ha una sua dignità. Ben maggiore.

    Detto questo, caro Malvino, già in occasione della morte del ragazzo nel Rione Traiano, Le avevo contestato questa visione lombrosiana, quasi antropomorfa, di Napoli e dei napoletani.
    Questa generalizzazione sugli usi e costumi della città napoletana, francamente, è ancora più stucchevole e oleografica dei napoletani stessi.
    E' vero, siamo bersaglio facile, fin troppo facile, caro Malvino.
    Ma converrà che contestare anche il modo in cui una città, che si riconosce in una lingua (sì, caro Malvino, la nostra è una lingua, non un dialetto, e questa cosa la ribadiva anche il nostro Pino Daniele), vuole ricordare un suo artista, nato nel cuore della città, che l'ha raccontata propria con quella lingua e ne ha rappresentato la colonna sonora per decenni, onestamente appare come il più classico degli esempi di troppa intelligenza impiegata a spanare le viti.

    Confido che il suo personale e livoroso punto di vista su Napoli sia stato alimentato da frequentazioni sbagliate o, peggio, da un'errata narrazione del luogo.
    Venga a Napoli, sarei lieto di poterla stupire.

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    1. La ringrazio dei modi civili, contesto solo l'uso dell'aggettivo "livoroso": non mi risulta che nella "lingua" napoletana abbia un significato diverso da quello che ha in quella italiana, e a me non pare proprio che quanto ho scritto riveli astio o rancore velenosi, piuttosto la dolente constatazione che c'è poco o nulla da fare. Mi consenta poi di sorridere su quel "venga a Napoli": io ci vivo da quasi quarant'anni. E' possibile che in tutti questi anni abbia avuto la sfortuna di incontrare solo i napoletani "sbagliati"? D'altronde chi nega che ve ne siano di deliziosi? Non è "visione lombrosiana", mi creda, è mera constatazione empirica. Sì, Napoli è un bersaglio facile e non fa nulla per togliersi dal mirino, tranne che piagnucolare vittimisticamente e rivendicare quella che con orgoglio vanta come peculiarità antropologica. Napoli non ha speranze, poi, certo, credere ne abbia non è peccato, speri, caro Pinelli, speri.

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    2. Ecco, Pinelli, adesso che c'è anche il crisma della minoranza linguistica attaccherei il piagnisteo sulla minoranza etnica,

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    3. Gentile Dmitri,
      da queste parti lacrime esaurite da tempo e mani callose e operose.
      Di minoranze non ne vedo, ad eccezione di quella degli spara sentenza, che per mio innato ottimismo, ritengo ancora minoranza (nonostante la sua risposta cerchi in tutti i modi di farmi cambiare idea).
      Il cinismo è una brutta bestia. Porta aridità e spesso anche cirrosi epatica.
      Si faccia controllare le transaminasi.
      Saluti.

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    4. Esordisce con Gentile dmitri per concludere dandomi del cirrotico, non deve trovarmi veramente gentile, lo so. Comunque non ho detto pianto, ma piagnisteo; capisco che la differenza possa risultarle oscura. Al più presto pubblicherò l'esito delle mie analisi per confortarla.

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  3. Prendo solo quattro tra molti nomi:
    Eduardo De Filippo, Totò, Troisi e Pino Daniele.
    Hanno vissuto molti e ultimi anni della loro vita lontano da Napoli (forse non casualmente ma tutti a Roma).
    Per due di loro sono anche sicuro che non avessero neanche proprietà immobiliari a Napoli…
    Solo per questioni di lavoro?

    Non voglio liquidare sentimenti, storia e storie, vita di una città in un poche righe di un post superficiale.
    Tuttavia il mio quarto di sangue napoletano, si interroga sul perché da Napoli si fugga per non farci ritorno.

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  4. Pino Daniele è andato via da Napoli per una ragione niente affatto dettata da motivi di affinità "antropologica" con i suoi conterranei, ma per ben più semplici ragioni: era diventato ricco e famoso. Spesso, a chi capita questo destino, sale improvvisamente al naso l'odore della sua precedente condizione, in special modo se questa porta con sé l'olezzo del sottosviluppo.
    Quello che mi terrorizza di Napoli è la folla affamata che si ciba delle carni dei suoi eroi, il rito orgiastico di assimilazione, la ferocia con cui viene negata l'individualità e il talento del singolo perché divenga sangue e carne della venerata "napoletanità".
    Personalmente non ho sentimenti particolari verso Napoli o verso i napoletani; odio invece visceralmente la "napoletanità", che similmente al patriottismo è rifugio delle canaglie, dei furbi, dei pavidi, dei ruffiani.
    Vedere quella folla davanti alla camera ardente di Pino Daniele reclamare il diritto di confermare la propria "napoletenità" (senza rispetto per nessuno, neanche per la buonanima) ha suscitato in me un sentimento decisamente violento, e non nel senso ampio dell'aggettivo.

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  5. Una Napoli che non capisce che il suo modello più rappresentativo è Schettino e non Pino Daniele

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  6. < Era diventato ricco > Con il forte rischio di banalizzare, si può aggiungere che numerosi tra le schiere di artisti e non, sostituita d'emblée la propria etichetta socioeconomica, hanno deciso di trasferirsi dalla città natale per il solo motivo che si sta molto meglio in una bella casa di campagna vista verdi colline (il riferimento è la Maremma), con tanto di ettari di conserva e magari con piscina, in alternativa nel merito al casino napoletano, anche se blasè.
    E meglio dare una leggera smussata alle idealizzazioni per togliere Pino Daniele dalla retorica del 'santino' (Dante/ Pino Daniele: non esageriamo neppure per comodità esemplificativa) , mentre lasciamo ai singoli napoletani la gara di filologia antropologica.

    PS I vari Eduardo, Peppino, Totò, e il resto si trasferirono a Roma, perchè si sa che era ed è la meta privilegiata per i contatti nel mondo dello spettacolo e relativi finanziamenti. E non solo.

    Angelo L.

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  7. La capisco, Dottor Castaldi. Ha espresso più o meno il sentimento che provo per la città nella quale sono nato e vivo: Roma. Per quel che mi riguarda, desidero spesso essere altrove e tuttavia realizzo che quell'altrove è solo l'alter ego della mia città.

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  8. Sono curioso, Malvino. Lei se ne andrebbe da Napoli? E perché non l'ha fatto? E' troppo tardi? Ha mai provato? Rimpiange di non averlo fatto? Io ho vissuto venticinque anni a Roma, mi sono trovato bene ma non è la mia città,

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    1. Rimpiango di non averlo fatto, adesso è troppo tardi.

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  9. AD USUM MALVINI senza alcun interesse a ciomparire nei commenti

    Vabbè raga’ su…Il film “Terroristi a Parigi” è finito.Ve siete svagati, siete annati in piazza con le matitine e gli striscioni Jesuischarlie.
    Adesso tornate alla realtà, che è quella de prima,
    finchè non vi propongono il prossimo film per distrarvi…
    La realtà. ahivoi, è che l’1% della popolazione possiede il 70% della ricchezza, tutte le banche e tutte le imprese, nonchè tutto il potere politico, chè partiti politici e uomini politici delle sedicenti e cosiddette “democrazie occidentali” sono tutti servi e camerieri di quell’ 1% della popolazione.
    La realtà. ahivoi, è che quell’1% della popolazione che possiede il 70% della ricchezza, tutte le banche e tutte le imprese, nonchè tutto il potere politico, possiede pure le vostre vite, e voi non siete altro che dei disgraziati costretti a fare i servi e gli schiavi di quell’ 1% della popolazione che possiede il 70% della ricchezza, tutte le banche e tutte le imprese, nonchè tutto il potere politico.

    Continua su www.giamba2016.ilcannocchiale.it

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  10. Buongiorno Dottor Castaldi, ritiene che Massimo Troisi avesse la stessa percezione di Napoli? A me sembra di sì.

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    1. Sì, ma la elaborava in modo meno aspro. Piuttosto, a proposito di Massimo Troisi, non c'è stato un cane che abbia ricordato che tra lui e Pino Daniele erano volati i cosiddetti "pisce fetiente": non si salutavano nemmeno più, ma a tutti ha fatto tenerezza incorniciarli assieme come fratelli siamesi, peraltro morti della stessa morte - 'e core - che commozione! Nauseabondo.

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  11. Buongiorno Dottor Castaldi, ritiene che Massimo Troisi avesse la stessa percezione di Napoli? A me sembra di sì.

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  12. Parole sante e perciò fastidiose.

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  13. http://www.corriere.it/spettacoli/15_gennaio_10/pino-daniele-sara-tumulato-toscana-ceneri-esposte-napoli-4472c84c-98dd-11e4-8d78-4120bf431cb5.shtml

    CVD, ecco il monumento della napulenità in esposizione.

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    1. Da sottolineare che Pino Daniele non abbia voluto tornare a Napoli neanche da morto.

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