venerdì 15 maggio 2015

Ma guarda tu la coincidenza

Ma guarda tu la coincidenza. Arriva unaltra sentenza della Consulta che sembra fatta apposta per rilanciare la questione posta di recente da chi lamentava che «non c’è praticamente giorno in cui non compaia qualche nuova notizia a ricordarci come molte decisioni politiche dipendano dalle pronunce di un tribunale amministrativo, civile, penale, oppure della Corte costituzionale», e lanciava lallarme che sta cazzo di «giustizia onnipresente indebolisce la politica» (Giovanni Belardelli – Corriere della Sera, 11.5.2015); sentenza che sembra fatta apposta per rinnovare la preoccupazione di chi non arrivava a dire che le sentenze non debbano ripristinare i diritti violati se questo mette in difficoltà lo Stato che li ha violati, ma andando per le ellittiche chiedeva «quanti diritti possiamo permetterci?» (Luigi Ferrarella – Corriere della Sera, 13.5.2015); sentenza che sembra fatta apposta per far girare i coglioni a chi diceva che, certo, non si discute, «la legge è legge», però, col mondo che gira sempre più veloce, la giustizia non può essere più «attività di accertamento della legge come è», ma deve diventare «attività di governo dell’esistente», «creazione della regola caso per caso», sensibile alla «necessità politica» (Giuseppe Maria Berruti – la Repubblica, 13.5.2015).
Accade che, dopo averne già abbattuti altri due nel 2009 e nel 2014, la Consulta abbatta un terzo pilastro della legge n. 40 del 19.2.2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), della quale adesso resta in piedi poco o niente. Legge che fu approvata da un Parlamento democraticamente eletto. Legge che, peraltro, su quattro dei suoi punti fu sottoposta al vaglio referendario, che non ne corresse neanche una virgola. È un caso, insomma, al quale calza ottimamente il paradigma di una giustizia che indebolisce la politica (anche qui rivelandone le carenze di cultura giuridica), di diritti violati il cui ripristino implica un costo alla collettività (qui non eccessivo, ma comunque a carico del servizio sanitario nazionale), del sacrificare la necessità politica allapplicazione della norma costituzionale così com’è (nel caso di specie, sacrificare all’art. 32 della Costituzione tutto quello che si era guadagnato leccando il culo al cardinal Ruini).
E dunque? Come avrebbe dovuto comportarsi, la Consulta, per evitare che chi ha votato la legge 40 rimediasse l’ennesima figura di merda? Non ne ricava analoga figura anche il Paese che per tre quarti si astenne quando fu chiamato a esprimersi su quella legge, così riconfermandola? Ed è delicato che la Corte costituzionale faccia presente che la volontà popolare, ancorché espressa con la strafottenza, conta meno di niente quando è in patente contraddizione con la Carta? È giusto che adesso il contribuente debba accollarsi anche la spesa della diagnosi pre-impianto per chi il sistema sanitario nazionale solleva da oneri perché non abbiente? In fondo, a stabilire che per il diabete e l’ipertensione passi, ma per la diagnosi pre-impianto è troppo, non dovrebbe essere la politica? E la giustizia, recependo l’esigenza posta dai tempi alla creazione di regole caso per caso, secondo la necessità politica, prima di stendere la sentenza che rinnova il giudizio della legge 40 come legge di merda, non avrebbe dovuto chiedere al Ministero della Sanità se c’era adeguata copertura finanziaria per consentire ad una coppia di poveracci, per giunta portatori di talassemia, di avere un figlio sano?
Domande provocatorie, certo, ma voglio dare per scontato che tali fossero pure le questioni sollevate da Belardelli, Ferrarella e Berruti, sennò neanche ne discutevamo e li mandavamo direttamente a fare in culo. 

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