martedì 9 giugno 2015

E questo sarebbe, il grande pensatore?

Posso anche fare a meno di citare le due firme che oggi, sugli ultimi sviluppi dell’indagine su Mafia Capitale, sono ricorse, come in unisono, all’argomento crociano che «lonestà personale non è sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica» (Corriere della Sera) e che «il politico onesto è quello capace» (Il Foglio), perché in fondo qui non fanno altro che darmi lo spunto per intrattenermi su un’altra infelicissima pagina di Benedetto Croce, delle tre o quattro che a sessant’anni dalla sua morte ancora resistono all’oblio in cui è precipitato tutto l’ormai inservibile edificio del suo sistema, pagine che d’altronde vengono citate senza mai essere state più rilette, se mai furono lette, perché è a leggerle che rivelano la fragilità dell’assunto che vorrebbero spacciare per granitico.
Qui, nel caso de Lonestà politica, trentasettesimo paragrafo dei Frammenti di etica, che sono del 1922, poi confluiti con Elementi di politica e Contributo alla critica di me stesso in Etica e politica, siamo dinanzi ad una pagina che non necessiterà dell’analisi di tutto il testo, come con Perché non possiamo non dirci «cristiani» feci due o tre anni fa (Malvino, 2.12.2012): basterà considerare la friabilità delle ragioni che dovrebbero sostenere l’assunto.
Prima di passare a queste, tuttavia, occorre rammentare che questa pagina di Benedetto Croce è del 1921, anno in cui era ministro del V governo a guida di Giovanni Giolitti, un uomo che lungo i trent’anni della sua vita politica fu costantemente raggiunto dalle accuse di cinismo, opportunismo e maneggi d’ogni sorta (cfr. Gaetano Salvemini, Il ministro della mala vita). Forse sarà malevolo il sospetto che Lonestà politica sia stata scritta per mera piaggeria, resta di fatto che, dopo essersi spellato le mani fino al 1922 ad applaudire Mussolini, la critica che muoverà al fascismo non sarà dordine politico, economico o sociale, ma si esaurirà in quella di «malattia morale»: e non si era detto che andassero bandite le «false unificazioni» tra etica e politica?
Ma veniamo alla sostanza della questione per come è affrontata da Benedetto Croce. Costruisce la sua pagina come un dialoghetto tra uno di quegli «imbecilli» che avanzano «la richiesta che si fa dell’“onestà” nella vita politica» ed un savio dalla posa olimpica che con tanta santa pazienza continua a ripetere la tiritera che l’onestà è niente senza la competenza. L’«imbecille» – ovviamente – si trattiene dal dirgli: «Grazie al cazzo!», ma, quando infine Benedetto Croce gli fa farfugliare l’obiezione che, «nonostante l’impulso del suo genio», il politico disonesto è di per se stesso portato a «soggiacer[e] ai suoi cattivi istinti», con la conseguenza che è inevitabile «fa[ccia] cattiva politica», quale è la risposta? «Allora, il presente discorso è finito, perché siamo rientrati nel caso in cui la disonestà politica coincide con la cattiva politica». Orbene, come vogliamo evitare che vi rientri, se non col pretendere che un politico sia innanzitutto onesto, e poi, sì, ci mancherebbe altro, pure competente? Nessuna risposta, perché lì il paragrafo chiude.
E questo sarebbe, il grande pensatore?

10 commenti:

  1. Questi sono i giochetti che riescono meglio ai filosofi idealisti, intendo questa capacità di dimostrare come le parti si risolvano magicamente nell'intero e tutto finisca per coincidere nel modo più razionale. Poi, sai, buona e cattiva politica sono concetti troppo larghi, vogliono dire tutto e niente e uno storicista come Croce dovrebbe saperlo meglio degli altri. Per il resto, pretendere è lecito, concedere è cortesia, l'onestà uno non se la può dare e nel caso di Buzzi tutto si può dire fuorché non fosse capace.

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  2. Cioè il tanto osannato pensatore ha ridotto il problema della politica disonesta a qualcosa di simile al paradosso del cretese bugiardo.
    Sarà anche stato un filosofo idealista, ma a me la conclusione puzza di sofismo (di bassa lega, per di più).

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    1. Infatti. E sorvolando sul fatto che probabilmente la pagina fu scritta per una carineria verso Giolitti.

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  3. Se vale il principio di reversibilità, il sicario capace è dunque onesto.

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  4. Peraltro, l'onesto è per forza di cose capace: sapendosi incapace, non si presenterebbe.

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    1. guardi che i grillini la querelano.

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    2. Devo contraddirla perchè, e posso citare decine di casi, l'onestà e la consapevolezza dei propri mezzi non sono necessariamente doti che albergano nella stesa persona. Ho personalmente la fortuna di conoscere un buon numero di persone oneste che, ahiloro, non saprebbero disegnare una "o" senza l'ausilio del bicchiere.

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    3. Non tutti sono dei Giotto

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    4. @Anonimo (primo)
      Potrei dire che l'assenza di consapevolezza dell'essere incapaci di disegnare una "o" senza un bicchiere sia una assenza di onestà nei confronti di se stessi. Evidentemente qui, per onestà, non si intende soltanto una qualità morale, pertanto non è nemmeno un giudizio morale rivolto a quelle persone incapaci di tracciare la suddetta "o" (e ci mancherebbe pure...). La domanda è: parteciperebbero quelle persone a un concorso di disegno tecnico, non sapendo usare nemmeno un compasso? Consapevoli dei propri limiti, no, oppure sì, tentando la sorte, oppure perché raccomandati. In questo senso il concetto di onestà non si limita all'astenersi da azioni illegali, o ritenute riprovevoli, ma include anche un vagliare criticamente le proprie capacità, potendo peraltro sbagliare sia nella auto-valutazione che nell'atto operativo specifico, il che appartiene a qualsiasi iter conoscitivo (talora questo scrupolo viene definito onestà intellettuale); dunque anche il riconoscere l'errore "in corsa" è una capacità appartenente a questa onestà (si può essere "operativamente" onesti, in questo caso a posteriori, essendolo potenzialmente a priori): e può essere considerato onesto il presentare le dimissioni, ma anche il sopperire all'errore compiuto. In ambo i casi si tratta sempre di capacità.

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  5. E' dalle superiori che mi sforzo, pure immedesimandomi in quel "liberale" che mai fui e mai sarò, ma io 'sta storia di Croce "grande pensatore del liberalismo italiano" non l'ho mai potuta né assimilare né comprendere né tantomeno accettare. Boh...

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