venerdì 7 maggio 2010

Farsa stravista



La cricca si è ispirata ai più volgari luoghi comuni di cricca, mettendo insieme figurine prese in prestito da film di serie B: il faccendiere, il suo factotum, l’autista tunisino, il gentiluomo di casa pontificia un poco pederasta, il ras dei dissesti idrogeologici, il ministro strafottente e strafottuto, le sorelle con la casa davanti al Colosseo, l’anziano pretozzo che tiene cassa…
Trama arcinota, personaggi scontati, un cast di caratteristi riciclati, comparse spostate all’ultimo minuto da un altro di film di serie B, fondali ritagliati via da Case & Giardini, patetici effetti speciali, colpi di scena dove e come te li aspetti, cronisti costretti a spremere sangue dalle rape e pathos dall’ovvio, carabinieri e magistrati dalle ascelle molto sudate.
Quanto più affascinanti, quanto più eccitanti, gli affari tra i talebani e i grossisti d’oppio afghani, tra i signori della guerra e i trafficanti di diamanti sudanesi, tra gli agenti del Kgb e i guardiani della rivoluzione islamica: qui è farsa stravista.

1919



“Non lo so”


Recupero da pontifex.roma.it un articolo apparso sul Corriere della Sera del 19 aprile e che mi era sfuggito. Si tratta di un aneddoto estratto dal viaggio di Sua Santità a Malta, a firma di Lorenzo Salvia, che così narra: “Joseph Magro arriva davanti a Benedetto XVI e la voce gli trema ancor più delle gambe. Riesce a fare l’unica domanda possibile per chi […] da bambino è rimasto orfano e poi ha subito violenze terribili dai preti che si dovevano prendere cura di lui: «Perché ci hanno fatto questo?»”.
Leggendo, qui m’è salito il cuore in gola e ho pensato: ecco la madre di ogni topos, adesso l’“esperta in umanità” parlerà per voce della sua più alta espressione, e finalmente sapremo.
Ho scommesso che la risposta fosse: “Colpa di Satana”. Ho perso, perché Sua Santità ha risposto: “Non lo so”.

“Esperta in umanità”, la Chiesa: per duemila anni ha ascoltato miliardi e miliardi di confessioni e tutti le hanno aperto cuori e menti fino a offrirle una conoscenza di tutto ciò che è umano, nel bene e nel male, che non ha pari per estensione e profondità. Tuttavia, quando un prete confessava a un altro prete di aver stuprato un bambino, si distraeva, pensava ad altro, e così non è riuscita a formarsi un’idea sull’argomento: “Non lo so”, ecco il distillato.
Ecco la madre di tutti i topi, proprio così, ma nel senso di vera e propria zoccola.

L'orgoglio


“il grado di coscienza /nei muscoli del collo”
Franco Battiato, Fisiognomica (1988) 

Non ho mai dedicato un rigo a Denis Verdini, perché non mi saprei saputo trattenere da divagazioni sulla sua fin troppo eloquente fisiognomica, e parlo dei suoi muscoli del collo. Ne vado orgoglioso, perché sarei stato odiosamente disonesto sul piano intellettuale, dando alla fisiognomica una forza che essa ha solo quando se la prende, e dopo che se l’è presa, quando non ha bisogno di nessuno che gliela conceda.

Non si capisce esattamente cosa voglia, il Magris


Non si capisce esattamente cosa voglia, il Magris. Concede che non manchino i motivi perché la Chiesa sia oggi fatta “bersaglio dei lazzi” per le “gravissime colpe di alcuni suoi esponenti commesse ai danni di minori indifesi”, per la sua “inadeguatezza ad affrontarle”, per la sua “riprovevole tendenza a celarle”. Concede che il suo essere “maldestra nella comunicazione” abbia aggravato la sua posizione dinanzi all’opinione pubblica, sicché qualche “uscita di pessimo gusto la si può lasciar passare con indulgenza”. Poi, però, dopo aver tanto concesso, lamenta un “furore ingiusto” nei “dileggi indiscriminati” che nel fondo avrebbero la “maligna soddisfazione” di istigare a “sospettare in generale di pedofilia” tutto il clero.
Pare che anche al Magris sfugga che è proprio la “riprovevole tendenza” mostrata dalla Chiesa a “celare le gravissime colpe di alcuni suoi esponenti” che oggi non consente di far troppa distinzione tra erba ed erba: il fascio le ha troppo strettamente avvinte insieme, nascondendo la cattiva in mezzo a quella buona.

E tuttavia il Magris ha ragione: ci sono preti pedofili e preti non pedofili. Io, per esempio, quando ne incontro uno per strada, mi trattengo dal dileggiarlo subito. Mi avvicino e gli chiedo prima: “Pedofilo?”.

giovedì 6 maggio 2010

Reliquia e icona, comunque feticcio


Il fatto che la Sindone di Torino sia stata definita “icona” da Benedetto XVI, e non “reliquia”, è stato sottolineato da un gran mucchio di penne, anche assai dotte, e tutte hanno appuntato a margine la sostanziale differenza del significato dei due termini.
Bene, io considero questa differenza del tutto irrilevante al fine ultimo che la Santa Sede affida al telo nell’economia salvifica: può non essere “reliquia” (s’è scritto pure che Giovanni Paolo II l’abbia definita tale, ma a me non risulta), può non esserlo, perché da icona serve in egual modo, e cioè da “feticcio”. Mi spiego subito, per evitare che si consideri arbitraria l’introduzione di questo terzo termine nella questione.
Se il mistero è trascendente, ciò che ne dà traccia nell’immanente è suo segno: tra reliquia e icona c’è solo differente profondità del segno, e Cristo sta a quel telo come il significato sta al significante.
Si vuole una prova? La dà proprio Benedetto XVI, subito dopo aver detto che la Sindone è icona: “Infatti essa è un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù, il quale, crocifisso verso mezzogiorno, spirò verso le tre del pomeriggio”.
Quell’“infatti” è meno paradossale di quanto sembri, perché esprime l’elemento feticistico comune a reliquia e a icona. Per dire, se al polso del morto, sull’icona, ci fosse impronta di orologio fermo alle tre, il telo sarebbe concorde ai Vangeli, e da feticcio potrebbe funzionare tale e quale. Tutt’è poter far conto su quanto i feticisti siano disposti a chiudere un occhio.

mercoledì 5 maggio 2010

L'Unità d'Italia per Santa Sede e Lega: perché e soprattutto come.


Sull’Unità d’Italia – intesa come evento storico e sua ricorrenza – si vanno delineando posizioni che solo in apparenza sono concordi o discordi. Le posizioni di Santa Sede e Lega, per esempio, sembrano discordi, ma non lo sono affatto, come dimostra quanto scrive Francesco D’Agostino (Avvenire, 5.5.2010), che, dopo aver definito l’Unità d’Italia “evento storico di grande rilevanza” e “ricorrenza di grande valore, celebrare la quale [è] un dovere e non un’opzione facoltativa”, passa a dare le definizioni di Unità e di Italia, sulle quali un leghista non avrebbe nulla da ridire.
L’Unità – quella che si realizza nel 1861 – è mera ratifica storica, evento epifenomenico di una identità italiana antecedente ad ogni guerra di indipendenza, antecedente ad ogni invasione e dominio straniero, connaturata – indovinate in cosa – nel suo carattere cristiano. Letteralmente: “L’Italia, da un punto di vista culturale, artistico, linguistico e soprattutto religioso, era già unita da secoli e secoli [prima del 1861]. L’Italia è, dunque, un fatto metastorico, è la perifrasi geografica di un carattere “soprattutto religioso”: l’evento storico del 1861 dà a questo carattere una dimensione statuale, ma quella nazionale è antecedente alla fondazione dello Stato unitario, ed è identità di nazione cristiana.
Messo questo paletto, Francesco D’Agostino ci si appoggia e lamenta confusione tra statuale e nazionale, confusione che lo Stato fa pesare alla Nazione, al punto che la “troviamo perfino nella nostra Costituzione, quando parla di territorio «nazionale» (art. 16) oppure quando (art. 87) afferma che il presidente della Repubblica rappresenta l’unità «nazionale»”. Trattandosi di entità identitaria “soprattutto religiosa”, provate a immaginare chi debba essere considerato rappresentante dell’unità nazionale al posto del presidente della Repubblica. “È evidente che tra Stato e Nazione esiste uno strettissimo rapporto – concede Francesco D’Agostino – che [però] non giustifica però l’assimilazione dei due concetti. Lo Stato fa riferimento al «potere» (e alle modalità del suo esercizio), la Nazione invece all’«identità» di un popolo (e alle sue forme espressive)”, che – ripetiamolo – sono culturali, artistiche, linguistiche e soprattutto religiose: è fatta bella sintesi della doppia obbedienza (a Cesare e a Dio) e della doppia fedeltà (allo Stato e al Papato) che, quando maturano contraddizione interna, non rendono difficile scegliere quale sacrificare.
Siamo ancora e sempre alla Lettera a Diogneto: è fatta giustificazione della disobbedienza al “«potere» (e alle modalità del suo esercizio)”, che sono laiche per principio, in favore dell’obbedienza alle espressioni identitariamente congrue alla natura di una Nazione cristiana, anzi cattolica, quando è necessario. Ed è necessario quando a dichiararlo tale è il rappresentante dell’unità nazionale, che incidentalmente ha prerogativa magisteriale.
E dunque “è indubbio che l’Italia attraverso l’Unità abbia consolidato indirizzato lo sviluppo della sua economia, abbia ottenuto maggiore attenzione nel concerto politico d’Europa, abbia garantito che alcune delle sue regioni più povere ottenessero significativi benefici, abbia soprattutto favorito movimenti demografici al proprio interno, indispensabili per la modernizzazione del Paese. Non dimentichiamoci però che ciò è potuto accadere perché, già molto, molto prima di costituirsi in Stato unitario, l’Italia si era già costituita, attraverso la sua lingua, i suoi costumi, la sua arte, la sua religione in nazione e tra le più antiche d’Europa”.
Bello, eh? E però rimane un problemino: com’è che questa nazione così antica, naturalmente espressa come identità cristiana, si è così tenacemente opposta alla fondazione dell’Unità statuale? Che senso acquista, la breccia di Porta Pia, in questa graziosa costruzione di Francesco D’Agostino? La Nazione italiana voleva o non voleva l’annessione dello Stato Pontificio al Regno di Savoia? In parte sì e in parte no, potremmo dire, se non vogliamo che la graziosa costruzione crolli.
E che sostengono, i leghisti? La stessa cosa. C’era chi voleva l’Unità d’Italia e c’era chi non voleva, c’è chi l’accetta di buon grado e chi a fatica. Sia, ma si affermi che è espressione di un potere, non di una identità. Il primo è riformabile, l’identità no. Tra la fedeltà allo Stato e la fedeltà ad una identità di Nazione (padana in quanto pre-italiana), quale è sacrificabile?

“Lei è un bugiardo e un mascalzone, vada a farsi fottere” (Massimo D'Alema - Ballarò, 4.5.2010)


Però dandogli del lei, pur sempre segno di un certo autocontrollo.


martedì 4 maggio 2010

Segnalazione

Le spente luci della città.

1977


Oh, nooo!



Mi pare disonesto il voler vincere a tutti i costi, non il riuscire anche a perdere pur di togliersi uno sfizio. Non mi sembra affatto scandaloso il comportamento della Lazio, né quello dei tifosi laziali. Male solo per l’assenza della virgola e del punto esclamativo.

Non è possibile riforma della Chiesa


Sul numero di Internazionale ancora in edicola (844/XVII) è pubblicato un articolo di Paul Kennedy, tradotto da Bruna Tortorella, apparso il 13 aprile sull’International Herald Tribune, e che vale la pena di leggere (qui, nella versione originale).
Kennedy chiede sforzi terribili alla Chiesa: “the strongest possible affirmation of the doctrine of the sheer evil of the abuse of power and trust”, “to remind all clergy that sexual abuse is not only a mortal sin but also a major transgression of criminal law”, “to articulate a sensible and just way of dealing with the superiors of the abusers”, tutta roba che la sovvertirebbe dal di dentro.
Dal di dentro, la Chiesa si sente corpo mistico di Cristo, i suoi preti vengono “costruiti” in questa convinzione: gerarchia organica dove le parti non si sentono distinguibili dal tutto, sicché Kennedy pretende davvero troppo, cioè che la Chiesa si abbassi ad essere una comunità qualsiasi.
È sul suo peculiare che la Chiesa pensa di aver sempre puntato con profitto, e nulla le farà cambiare idea nel posto dove l’idea si forma: durare è il suo unico scopo, oltre e sopra ogni altra cosa, anche a dispetto delle apparenze. Non è possibile riforma della Chiesa, se non posticcia.

Bastavano gli auguri degli uiguri


Solo Federico Orlando dalle pagine di Europa faceva gli auguri a Marco Pannella, sabato 1° maggio. Il giorno dopo cadeva il suo 80° compleanno e le cose non erano troppo diverse: due o tre brevi sul cartaceo, praticamente nulla alla tv e sul web non andava meglio (non più di sei o sette blog facevano cenno alla ricorrenza).
Con candida spudoratezza non tratteneva l’amarezza, il monumento, e nella conversazione domenicale a Radio Radicale confessava di aver ricevuto sms solo dagli intimi: il Regime non s’era fatto vivo, dal Palazzo nessun affettuoso messaggio. Troppo tardi per avere un riscontro il giorno dopo, ma oggi, martedì 4, qualche attenzione s’è smossa: ancora Federico Orlando, Furio Colombo, e poi il solito pensierino buono per la sua nomina a senatore a vita, che ormai è un tormentone. Insomma, il solito giretto stanco attorno al monumento, qualche piccione l’ha sorvolato senza scacazzo, niente banda, pochi fiori.
Sarebbe la conferma dell’odiosa consegna del silenzio imposta ai media dalla odiata partitocrazia: un resistente dovrebbe trarne conforto per le proprie tesi e, volendo, esaltazione. Bastavano gli auguri degli uiguri, per dire, ma è evidente che non siano bastati a Marco Pannella.

L'ennesimo Michelangelo-non-Michelangelo



Everett Fahy è stato a capo del dipartimento di pittura europea del Metropolitan Museum per molti anni e per molti anni ha avuto sotto gli occhi la Testimonianza di San Giovanni Battista lì esposta, ma solo adesso se ne viene con la bella idea che l’opera non sia di Francesco Granacci ma di Michelangelo Buonarroti. Ad esser più precisi, non è che lo dica, ma lo suppone sulla base di elementi tanto inconsistenti da far venire più di un dubbio. Esaminiamoli.
Una figura tenderebbe l’indice come in un disegno di Michelangelo conservato al British Museum (Il Filosofo), ma basta anche solo un superficiale raffronto per verificare notevoli differenze sulla postura del tronco e del braccio, oltre che sull’angolo tra polso e dito.
Un’altra figura – femminile e chiusa in un ampio panneggio – avrebbe posa simile a quella di una figura – maschile e nuda – dipinta da Michelangelo sullo sfondo del Tondo Doni: anche qui ci vuole molta fantasia per vedere una analogia, se non per le gambe incrociate, ma nel dipinto di Michelangelo la gamba sinistra è posta sulla destra, mentre nella Testimonianza di San Giovanni Battista è il contrario.
La posa del Battista richiamerebbe quella di un nudo michelangiolesco conservato al Louvre ma, anche qui, le differenze sono numerose: la massa muscolare, l’inclinazione e la torsione del busto sulle anche, la linea delle spalle, la disposizione delle braccia, i tratti del volto.

Di ancora minor peso le altre “prove”: il fatto che il dipinto sia ad olio, mentre il Granacci preferiva la tempera (vero, ma non esclusivamente); il fatto che all’indagine radiografica siano stati rilevati pochi disegni preparatori sotto la pittura (come se un elemento del genere sia degno di essere preso in considerazione per attribuire un’opera a chi non ne faceva affatto); il fatto, infine, che l’opera potrebbe essere attribuita a Michelangelo perché la data della sua realizzazione coinciderebbe con un periodo nel quale era libero da commesse (e qui non vale neanche la pena di considerare la solidità di una “prova” del genere).
Ciò che stupisce, tuttavia, è che a nessuno sia venuto in mente di fare una semplice considerazione relativa a un elemento che molto ben rappresentato nella Testimonianza di San Giovanni Battista: le rocce che riempiono la scena. La loro conformazione non trova alcun analogo in quelle ritratte nelle opere sicuramente attribuibili a Michelangelo, basti pensare alla varietà che ne è offerta negli affreschi della Cappella Sistina e a quelle che fanno da sfondo alla Crocifissione di San Pietro o alla Battaglia di Cascina. Le rocce dipinte nella Testimonianza di San Giovanni Battista, invece, sono in tutto simili a quelle che Francesco Granacci ritrasse nella pala di sinistra del Trittico della Crocifissione o sullo sfondo a destra nella Madonna della Cintola.

Non è tutto. Nella Testimonianza di San Giovanni Battista la proporzione tra il capo e il tronco non è affatto michelangiolesca e molte figure sono ritratte con una rigidità che, se bisogna pensare almeno a un contributo di mano diversa da quella del Granacci, a tutti si può pensare tranne che al Buonarroti. Impensabile, ad esempio, che un Cristo come quello qui raffigurato sia opera di Michelangelo: basta uno sguardo alle pieghe della sua tunica.
Per non parlare della vegetazione che fa da sfondo, in tutto simile a quella dipinta dal Granacci in Giuseppe dinanzi al Faraone, e degli uccelli che volteggiano in cielo, uguali a quelli nel cielo della Adorazione di Gesù Bambino.
La Testimonianza di San Giovanni Battista è proprio del Granacci, e in ogni caso nulla prova che Michelangelo ci abbia messo mano.

Il mio 5xmille


Un lettore gli aveva fatto notare che una pubblicità strillasse a tutta pagina: “Usa il preservativo!”, il giorno prima, sullo stesso numero che apriva con un suo editoriale di condanna della “cosa più schifosa che sia mai stata inventata”, e cioè del preservativo. “Figura di cacca – ammise Giuliano Ferrara – ma la pubblicità ha i suoi costi e i suoi ricavi” (Il Foglio, 4.12.2007).
A quel lettore parve risposta piena e onesta, sicché bonariamente chiuse un occhio quando dall’archivio de ilfoglio.it scomparve il .pdf della “figura di cacca” (3.12.2007), tuttora irreperibile. E lo chiuderà anche stavolta che Il Foglio pubblica a tutta pagina una pubblicità che invita a destinare il 5xmille all’Associazione Luca Coscioni, a sostegno delle sue battaglie in favore di “libertà di ricerca scientifica, fecondazione assistita, testamento biologico, eutanasia, pillola del giorno dopo, Ru486…”.
Tutta roba che un fogliante comme il faut schifa fin dal profondo delle sue viscere, ma allora vuol dire che la questione dei costi e dei ricavi di questa pubblicità si sposta da Il Foglio all’Associazione Luca Coscioni.

C’è da supporre che la pubblicità non riuscirà a convincere molti foglianti. Chi abbia una mezza idea di destinare il proprio 5xmille proprio all’Associazione Luca Coscioni, dunque, sarà legittimato a chiedersi che senso abbia spendere dai 5.000 ai 10.000 euro, se non di più, per una pubblicità con quei contenuti su un giornale di quel genere? Vogliamo biasimarlo se gli sembrasse di buttare i propri soldi nel cesso?
Ok, Luigi Manconi e Angiolo Bandinelli sono dirigenti dell’Associazione Luca Coscioni e anche collaboratori de Il Foglio, certe reciproche carinerie sono quasi d’obbligo, eccetera. Ma può andar bene come spiegazione?

Avevo una mezza idea di destinare il mio 5xmille all’Associazione Luca Coscioni, ma penso che lo dirotterò all’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (92051440284), che almeno non lo spreca comprando spazi di pubblicità su Avvenire.   

lunedì 3 maggio 2010

Livelli


Al netto del lecito, Lory Del Santo arriva all’attico dove Claudio Scajola neanche al primo piano.

sabato 1 maggio 2010

Comunicazione di servizio


Il post qui sotto mi ha tutto sbrodolato di bile, vado a darmi una ripulitina alle terme. Ci si rivede lunedì sul tardi, al massimo martedì.

Intellettuali dei miei mocassini


Uno torna a casa, la sera, con la curiosità che lo divora dal mattino, quando ha letto un articolo di Goffredo Bettini e ha fatto il calcolo delle reazioni potrà scatenare in rete.
Sono le volte che uno sarebbe tentato di disdire ogni appuntamento di lavoro per restarsene tutto il giorno davanti al pc, a seguire in real time il montare della discussione nella blogosfera, l’accendersi dei fuochi di polemica, il comporsi delle varie posizioni sui punti sollevati dal Bettini, uno che nel Pd, cioè nel più grande partito di opposizione, non è certamente l’ultimo degli stronzoni.
Naturalmente uno va al lavoro, ma ogni tanto il pensiero torna all’articolo, e la curiosità lo morde: “Chissà che glossa ci starà scrivendo sopra, l’Adinolfi! Chissà che folgoranti bagliori di critica, il Civati, lo Scalfarotto, il Sofri, il Costa, il Gilioli! Chissà che colpi di bazooka da Beppe Grillo, chissà che pirotecnica di freddure e battutine dagli acari della blogosfera del più ambiguo centrosinistra! Ci starà già girando sopra un video, quel geniaccio di Zoro?...”.
Bene, uno torna a casa, la sera, e il climax gli scende nei mosassini: l’articolo di Bettini non ha piegato un pelo di cazzo a nessuno. E vabbe’ che Bettini sta in cantiere per la manutenzione, ma intelligenze del suo calibro non dovrebbero muovere la discussione? “Contro il nichilismo il centrosinistra non può non dirsi (e farsi) cristiano”, mica polpettine, e la blogosfera peri- e para-piddina? Un perfetto niente. Cose che avrebbe potuto dirle un Pera, e al Bettini non lo cagano neanche di striscio.

Chi li capisce, questi fighetti di centrosinistra. Stanno col naso appiccicato alla vetrina delle novità elettroniche e mediatiche, non si perdono neanche un cd di quelli che contano e, se hanno letto duecento libri, si sentono già insufflati di cultura. Pronti a spaccare il pelo in sedici sulle puttanate e, quando Bettini scrive: “La fede, grazia e dono, non diventa motivo di distrazione per inseguire progetti separati dal resto della società, ma misura del limite dell'umano, dentro il quale aprirsi all’altro, combattere, testimoniare, incontrare. Le immense risorse morali dei cattolici si possono così espandere in una molecolare risposta al nulla che dilaga, così come a ogni idea onnipotente (e sappiamo in politica quanto pericolosa) dell’azione umana. Per questa via diventa naturale e prezioso l’abbraccio con l’azione e la spiritualità del non credente” – be’, quando Bettini scrive questo, paiono distratti a fare ikebana.
E così Bettini scrive dell’“ideologia atea, che poi è un assolutismo”, ma scrive pure che “tutto ci è il contrario del relativismo”, che è “nella ricerca, nel dubbio, nel dialogo che la fede può esprimersi virtuosamente nella storia e illuminarla”, e nessun blogger di quelli che contano nell’area pare abbia da commentare. Intellettuali dei miei mocassini.


Nota
Dice, vabbe’, ma linkaci ’sto cazzo di articolo del Bettini, così lo leggiamo ed eventualmente se ne parla. Non linko un cazzo, dico io. Bettini non linka me, e io non linko lui.

Mai che ti mettano la musica di sottofondo ad hoc quando sarebbe necessario, eccheccazzo!



La difficile arte del far regali



“Nel quinto anniversario dell’elezione al Pontificato, il presidente della Repubblica Italiana offrirà il 29 aprile a Benedetto XVI un concerto in suo onore nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Nell’occasione il presidente consegnerà al Papa un’edizione in ristampa anastatica del De Europa di Enea Silvio Piccolomini” (L’Osservatore Romano, 28.4.2010).

Mi sfugge il senso del regalare la copia anastatica di un libro a chi nella sua biblioteca ne ha copia originale (stampatore Adrianus van Heck, 1453). Sarebbe come regalare a Giorgio Napolitano la copia anastatica delle 47 tessere del Pci dal 1945 al 1991.