lunedì 5 luglio 2010

Il Papa imputato



È il 1954, siamo sulle pagine de Il Mondo (IV/256), quella riprodotta qui sopra è la prima parte di un pezzullo del Taccuino del 12 gennaio. Scorrendo il testo potreste sospettare che quel titolo sia un refuso: avete notizia che da qualche mese è nata l’Aied, associazione che fra i suoi scopi ha quello di diffondere il concetto ed il costume della procreazione libera e responsabile, in patente violazione dell’art. 553 dell’allora vigente Codice Rocco (“per la difesa e l’integrità della razza e l’espansione della stirpe”), come un deputato monarchico ha segnalato al Viminale... Sì, vabbe’, ma il Papa che c’entra?
E invece c’entra, perché “prendere provvedimenti contro l’Aied implicherebbe infatti [qui chiude la colonna, in capo a quella a fianco segue:] necessariamente prendere provvedimenti anche nei confronti del Santo Padre, che si è più volte pronunciato a favore di un «ragionevole» regolamento delle nascite”. Poco importava che per «ragionevole» fosse da intendersi «mediante astinenza sessuale»: il Papa aveva violato il Codice Rocco, ed eccolo imputato nel titolo.
Un paradosso per amor di paradosso? Per Mario Pannunzio sarebbe stato un delitto, leggetene la biografia di Massimo Teodori (Mondadori, 2010) e vi farete un’idea del perché. L’idea che mi son fatto io è che considerasse la polemica una cosa maledettamente seria, da non consentire sprechi di figure retoriche.

Sai quanto puoi fregarcene di una imputazione mossa al Papa? Zero, tutt’al più è un paradosso per amor di paradosso, come la fucilazione del Papa ne La via lattea di Buñuel: se non serve a niente, il paradosso è un balocco. Chi può volere Il Papa imputato, nel 1954? Giusto quel pasticcione d’uno Spadazzi. No, il problema è un altro: è l’abrogazione dell’art. 553 del Codice Rocco che, guarda caso, la Santa Sede non vorrebbe fosse abrogato.
L’Osservatore Romano ha scritto che tanto è da considerare “caduto in disuso, onde nessuno può temerne l’applicazione a proprio danno”, ma che “conviene non mutare la legislazione per non dare l’avvio ad altre riforme che sarebbero state forse pericolose”. E qui quel pasticcione d’uno Spadazzi torna utile per dimostrare che l’art. 553 non è affatto caduto in disuso e non è solo l’Aied a doverne temere danno, fino a quando non sarà abrogato. “E allora si abroghi l’articolo – conclude Pannunzio – nell’interesse di un Papa minacciato dalle iniziative di monarchici più papisti di lui”.

[...]


Una rotonda sul mare / 6




Segnalibro

Lucilio Vanini negò l’immortalità dell’anima, inclinò a qualcosa tra panteismo e ateismo, anticipò Charles Darwin ipotizzando che gli uomini discendessero dalle scimmie e, in occasione della contesa tra Serenissima e Pio V, formulò un principio assai simile a quello della laicità dello stato, rimproverando al Papa di esercitare ingerenza in faccende che non gli competevano. Per un frate carmelitano era già troppo, ma Vanini fu fottuto perché allevava un rospo, animale considerato infernale: il tribunale dell’Inquisizione lo condannò al rogo, previo il taglio della lingua. Fu bruciato il 9 febbraio 1619, a 34 anni.

Cronache resistenziali


L’idea di tenere un Comitato nazionale di Radicali italiani a L’Aquila non s’è rivelata felice, almeno a voler tener conto della partecipazione: presenti solo una metà dei membri del Comitato nazionale, che poi sarebbe l’organo che esprime la rappresentanza degli iscritti (sempre di meno negli ultimi anni) e statutariamente sarebbe responsabile della linea politica; solo poco più della metà dei membri della Direzione nazionale del partito, facente parte di diritto; assenti tutti i rappresentanti delle “associazioni metropolitane” (Milano, Torino, Bologna, Firenze, ecc.); assenti alcuni “radicali storici” di spicco (Spadaccia, Bandinelli, Vecellio, ecc.); di Mellano, presidente del partito, non si ha notizia (peraltro già da qualche tempo), è dato come latitante per trauma (non è chiaro che tipo di trauma); assenti anche molti degli invitati fissi e per l’occasione; scarsissimi gli osservatori esterni; stampa, neanche a parlarne. Tutto questo dà a Pannella un’amarezza tremenda. Da intendere alla lettera: amarezza da far tremare.
Tremiamo perché la resistenza al regime della cupola mafiosa partitocratica sta tutta in mano ai radicali e i capi della resistenza si fanno scoraggiare dall’afa e dalla polvere de L’Aquila: tremiamo per le sorti del paese. Ma tremiamo pure per quelle un pochino più circoscritte di Bandinelli, che Pannella sembra voler pigliare a capro espiatorio da sacrificare sull’altare della sua amarezza: Bandinelli non è andato a L’Aquila. E mo so’ cazzi sua.

L’Osservatore Romano pensa di poterci prendere per il culo


Il 20 luglio 1933, con le firme di Franz von Papen e di Eugenio Pacelli, il Terzo Reich e la Santa Sede arrivano al Concordato che assicura ai cattolici residenti in Germania il trattamento riservato ai cittadini di origine e di lingua tedesche anche se appartenenti a minoranze etniche non tedesche (art. 29). Da lì in poi, almeno sulla carta, un ebreo convertito al cattolicesimo dovrebbe essere trattato da cattolico, senza tener conto del fatto che appartiene ad una minoranza etnica della quale il Terzo Reich sta per programmare lo sterminio.
E tuttavia quel Concordato non basterà. Quando, sul finire del 1938, la Kristallnacht dimostrerà che Adolf Hitler si sta preparando a trattare tutti gli ebrei da ebrei, anche se convertiti al cattolicesimo, la Santa Sede corre ai ripari e con una lettera inviata dalla Segreteria di Stato a 61 arcivescovi di tutto il mondo chiede che vengano preparati dei visti per quei cattolici tedeschi “non ariani” che si ha intenzione di far partire dalla Germania per sottrarli alla furia nazista. Sul fatto che la premura fosse in favore dei soli ebrei convertiti fa prova il numero dei visti richiesti, assai inferiore al numero degli ebrei residenti in Germania a quei tempi.

Bene, dall’Archivio Segreto Vaticano (575, 606 bis/1938-1939) salta fuori la minuta di questa lettera (77/39, 9.1.1939) e L’Osservatore Romano cerca di spacciarcela come la dimostrazione che anche prima di diventare Pio XII, quando ancora era Segretario di Stato di Pio XI, il Pacelli andava salvando vite di ebrei, a migliaia, ma senza chiarire che si trattava di ebrei di un particolare tipo: quelli convertiti al cattolicesimo. In pratica, il Pacelli si dava da fare per salvare la vita a dei cattolici “ex non ariano genere provenientes” e L’Osservatore Romano pensa di poterci prendere per il culo spacciandoci la cosa come prova dell’interessamento della Santa Sede per la sorte di tutti gli ebrei tedeschi.
Pensa di poterlo fare estrapolando dal testo una frase nella quale il Pacelli chiede agli arcivescovi che nelle nuove sedi di destinazione ai fuoriusciti siano assicurate “omnia quae ad religionis cultum, instituta et mores pertinent”. Sarebbe come si vuol far credere, se non fosse che quanto sollecita il Pacelli dovrebbe essere assicurato – come sta chiaramente scritto all’inizio della frase di cui si cita solo ciò che fa comodo citare – da appositi “comitati per l’assistenza ai cattolici non ariani”. E dunque “cultum, instituta et mores” sono da intendersi come relativi alla religione cattolica o a quella ebraica?

sabato 3 luglio 2010

Oh, Kate, se sapessi!

Scrivi e scrivi, c’è chi ti ripesca.

Contrordine, fratelli!


A un mese dalla morte di monsignor Luigi Padovese pare debbano essere corrette alcune affrettate conclusioni tratte a salma ancora calda da pur autorevolissimi e autorizzatissimi commentatori. La lettura “politica” dell’omicidio come ennesimo episodio di “ostracismo nei confronti dei cristiani”, ora, pare almeno un pochetto riduttiva, almeno per Avvenire, che infatti ammette: “Le indagini in Turchia sembrano procedere a stento e ancora non s’è dissipata la fitta coltre dei dubbi su circostanze e moventi dell’assassinio”.
A salma ancora calda, le circostanze erano avvolte nella fitta coltre, ma sui moventi non sembravano esserci dubbi: odio anticristiano, sgozzamento di chiara marca jihadista. Ora la nebbia ha avvolto anche i moventi. Anzi, Avvenire concede: “A volerlo leggere come un fatto di cronaca…”. Mica obbligatorio considerarlo un martirio per fede, però il Padovese aveva da sempre offerto la sua vita alla missione in partibus infidelium, a testimoniare lì la sua fede, e la testimonianza è sempre martirio, almeno etimologicamente, e dunque si potrebbe dire... Insomma, martire ad honorem.
E sì che sulla certezza del movente islamista c’era chi spronava Benedetto XVI a una crociata. Foglianti, teste di cazzo.

Se Avvenire prende atto che dalle indagini non emergono prove certe che si sia trattato di un martirio per fede (e questo lascia intendere che stia emergendo tutt’altro), Libero commemora un Padovese che “forse si è offerto al posto del Papa”. Sì, avete capito bene: il Padovese sarebbe morto per salvare la vita al Papa, “si potrebbe spiegare così, infatti, l’improvviso annullamento da parte del presule, del viaggio a Cipro, in occasione della visita di Benedetto XVI”. Mancare a quell’importantissimo appuntamento a Cipro rimane il grande mistero dell’intera vicenda, e lì probabilmente sta il reale movente dell’omicidio: per Libero è mistero che si risolve in questo modo.
Per salvare la vita al Papa, il Padovese non poteva partire per Cipro senza portarsi appresso il suo factotum turco come aveva voluto fino al giorno prima? Non poteva comunicare i suoi sospetti sulle intenzioni di Murat Antun alle autorità turche e/o cipriote? C’era bisogno di farsi ammazzare per salvare la vita al Papa? Teste di cazzo insuperabili, a Libero

Esd 10, 36



Mi aspettavo più attenzione sulle scritte lasciate da mano ignota sulla Scala Santa, ma pare che la cosa non interessi troppo. Eppure penso che da quelle si possa risalire al loro autore o, se non proprio a lui, a quella ristretta cerchia di individui che possano avere avuto un fine nel mandare un messaggio criptato a quel modo: frasi in cirillico dal tenore erotico-sentimentale, firmate Vania, con la cifra di un versetto dal Libro di Esdra (Esd 10, 36).
L’associazione tra caratteri cirillici e un nome che è anche russo, ma che è scritto in caratteri latini, assume un significato particolare se si considera che il versetto biblico recita: “Vania, Meremòt, Eliasib, Mattenai, Iaasai”. Il Vania qui citato non è diminutivo di Ivan, ma è – con gli altri – il nome di uno dei “sacerdoti [ebrei] che avevano sposato donne straniere” (Esd 10, 18) e che furono condannati a “rimandare le loro donne insieme ai figli avuti da esse” (Esd 10, 44). [Siamo tra il 520 e 515 a.C.]
Io penso che l’autore delle scritte sia un prete cattolico di nazionalità slava al quale il vescovo ha ordinato di sbarazzarsi dell’amante, venuto a Roma a scavalcare l’ordine gerarchico per una folle supplica. La Scala Santa è, infatti, ancora oggi percorsa in ginocchio da molti fedeli che chiedono grazie.
Altro che insulti al Papa, come si è detto.

Slow brown fireworks

If we were to bump into each other again, where would you rather it be:
A: In a sauna.
B: On an oil rig.
C: In a morgue.
D: I love you.
E: Please don’t think I’m mental.
F: I hand delivered this, I’m outside your house right now.


venerdì 2 luglio 2010

[...]

La cattiveria di Formamentis è adorabile, ma Jimmomo aveva scritto: “C’è da sospettare…”, mica che lo sospettava lui.

Una rotonda sul mare / 5



Blogosfere

Epicuro e ipercura.

Sapevámonlo


Il tempo mi ha dato ragione di ciò che ho sempre pensato e scritto di Vito Mancuso fin dal 2007, quando a me pareva già evidente la grave eresia contenuta ne L’anima e il suo destino, e ancor più evidente mi pareva la sua estrema conseguenza: radicalizzare quello spirito del Vaticano II che a detta dei cattolici di stretta ortodossia è sempre stato un letale fraintendimento della lettera di quel Concilio. Ho scritto che il rogo aspettava Mancuso e che se lo meritava. Intanto mi stupivo che fosse tanto coccolato finendo per risolvere: cercano di tenerselo buono, cercano di contenerlo.
“È come se dicesse alla teologia: vai al sodo. E alla cultura: accetta la sfida. Così Mancuso apre un dibattito franco e rigoroso grazie a un libro intelligente e documentato”, e mica lo diceva Corrado Augias a quei tempi: lo diceva monsignor Piero Coda, non proprio un “progressista”, docente di Teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense, per darvi la misura del cerebro, e presidente dell’Associazione teologica italiana, per darvi quella del polso; lo diceva dalle pagine de Il Foglio, che a quei tempi portava Mancuso sul palmo della mano e oggi non smette di strofinarsi il palmo della mano sulla giacca, come se volesse pulire ogni traccia di Mancuso.
Sarà che il brillante teologo non va più tanto di moda o che ci va un po’ troppo? Di certo c’è solo che, prima, “il professor Mancuso è una voce accettata e ascoltata nel mondo della teologia cattolica” (Giuliano Ferrara - Il Foglio, 10.10.2007) e, ora, commissioniamo il commento della sua pericolosissima teologia anticattolica a due tosacani come Camillo Langone e Angiolo Bandinelli, non ci sprechiamo manco un Pietro De Marco.

Mi sono trattenuto dal commentare l’articolo di Vito Mancuso su la Repubblica di domenica 30 giugno per non ripetermi, mi sono trattenuto dal commentare ciò che ne ha scritto Il Foglio perché Luca Massaro ha buttato giù un post che spiaccica Langone e perché Bandinelli si spiaccica da solo.
Mi sembra interessante, invece, sottolineare ciò che ha scritto De Marco sul tanto contestato articolo di Mancuso: “Il nostro «teologo» scrive: «Essendo tutto dominato dalla logica evolutiva, non esiste alcun punto fermo, se con fermo si intende qualcosa di statico e di immobile [...]. Dio è un punto fermo [...] nel senso di immutabile quanto alla dinamica del suo movimento vitale che è l’amore [...]. E va da sé che, non essendo Dio, a maggior ragione non sono punto fermo né la Bibbia [...] né la Chiesa con il suo magistero dottrinale [...], il quale parla veramente nel nome del Dio vivo solo se consente e incrementa il creativo dinamismo della libertà» [La vita autentica, Raffaello Cortina Ed. 2009]. […] Questo monismo energetico, disperante nella sua dogmaticità, può certamente apparire frutto di un tardo, sfilacciato New Age. La Rivelazione, le Rivelazioni, sono accessorie. [...] Chi ha decostruito l’intelletto cattolico a questo punto?”. Dio, com’è bello sentir parlar chiaro: Mancuso è un eretico.
Modestamente, sapevámonlo. Ma quale autorevole fonte pigliamo per dargli fuoco? La Pascendi dominici gregis di Pio X (1907). Che De Marco non cita nei punti salienti, ma in cazzatelle accessorie. Però come dimenticare che la Pascendi è l’enciclica che condannò il modernismo? A questo stiamo: Mancuso ricicla. Bruciato.

giovedì 1 luglio 2010

Uno strappo all'eccezione


L’articolo contiene innumerevoli cazzate. Lo firma un prete che sull’argomento – le “potentissime lobby omosessualiste” – torna costantemente, da anni e così spesso e con tale accanimento da far sospettare che voglia innanzitutto convincere se stesso. 
In più è un prete di quelli proprio insopportabili: ignorante e arrogante, borioso e smargiasso, mezzo lefebvriano, omofobo, razzista e, a naso, untuoso. Di quelli che, quando li incroci per strada, non li butti sotto solo perché poi passi un guaio (*).
Ancora: l’articolo, ormai vecchiotto, è riproposto da pontifex.roma.it, evidentemente a corto di roba fresca, e io avevo promesso a me stesso di non dedicare neanche più un rigo a quanto scarabocchiato su quella porta di cesso di oratorio, roba affine a “gli immigrati vengono a pisciarci dietro al Duomo”, “le donne che pigliano la pillola so’ tutte zoccole e quelle che abortiscono so’ tutte assassine”, un mix di Fallaci, Ferrara, Borghezio e Quagliariello, però di bassissimo livello estetico.
E però un lettore assiduo e affezionato, che tante volte ho dovuto ringraziare per le sue interessanti segnalazioni, mi scrive: “«Omosessualiste»? Al di là della solita aria fritta sul potere delle lobby gay, è quasi sorprendente notare il contributo che si sforzano di dare alla lingua italiana” (Nicola Bergonzi). È un invito al commento dell’articolo di don Marcello Stanzione.

Sul punto sollevato dal Bergonzi, direi che non fanno troppo sforzo: la trattano di merda, la lingua italiana. Senz’altra attenzione – né tecnica, né artistica – che all’utilizzo per fini apologetici o propagandistici (che poi è la stessa cosa). C’è da far intendere che la scelta omosessuale è socialmente destabilizzante (contro natura)? Bisogna rappresentare il destabilizzatore per eccellenza: l’ideologia.
L’ideologia (la tiri fuori da ogni cosa, basta che ci aggiungi -ismo o -ista) piega la verità ai suoi fini, così – scrive don Stanzione – “attraverso internet, la televisione, i giornali e una cattiva educazione sessuale si è riusciti a creare una opinione pubblica non ostile alla pratica omosessuale”: il complotto delle “potentissime lobby omosessualiste” è andato a buon fine e adesso l’opinione pubblica – mannaggia! – non è più ostile agli omosessuali e alle loro porcate contro natura.
Prova del nove? “Chi sostiene che [...] l’omosessualità è una condizione patologica che ostacola lo sviluppo integrale della personalità [...] viene liquidato come intollerante, retrogrado, sessuofobo, roba da medioevo, da mandare appunto dietro le sbarre e di conseguenza diviene il bersaglio favorito dai mass media”. Ma dico: è giusto?
Non è giusto – scrive don Stanzione – perché “è opinione erronea che l’omosessualità sia una opzione normale della realtà sessuale”. Perché sta scritto sulla Bibbia? Macché, don Marcello ci tiene a far vedere che è forte in Bignamino: perché lo diceva Freud.
Ecco, come nell’occhio del ciclone sta una perfetta pace, in mezzo a tanto vorticare di cazzate sta una questione decente: Freud considerava patologica la condizione omosessuale?

Può darsi che la considerasse tale nel 1905, quando scriveva: “L’evoluzione ha lo sbocco nella cosiddetta vita sessuale normale dell’adulto  [e quel “cosiddetta” è interessante], ove l’acquisizione del piacere è entrata al servizio della funzione procreativa e le pulsioni parziali, sotto il primato di un’unica zona erogena, hanno formato una solida organizzazione per raggiungere la meta sessuale in un oggetto estraneo [senza però neanche aggiungere “appartenente al sesso opposto”](Tre saggi sulla teoria sessuale). Ma nel 1935, per esempio, già la pensava in tutt’altro modo: “L’omosessualità non dà sicuramente alcun vantaggio, ma non c’è nulla di cui vergognarsi, nessun vizio, nessuna degradazione, non può essere classificata come malattia” (Lettera a una madre americana). Già anni prima, inoltre, aveva dichiarato che l’omosessualità dello psicoanalista non è condizione che in sé faccia ostacolo all’attività psicoanalitica.
La convinzione che Freud considerasse patologica la scelta omosessuale nasce alla morte di Freud e regge solo per alcuni decenni: don Marcello è rimasto incastrato nel Bignamino d’annata.
(*) Per modo di dire, naturalmente.

70 giorni


Benedetto XVI accetta le dimissioni che monsignor Walter Mixa aveva presentato il 22 aprile con l’ammissione di aver commesso gli abusi su minori che gli venivano attribuiti e che fin lì aveva sempre negato di aver compiuto: 70 giorni per decidere se accettarle o no.

Una rotonda sul mare / 4



Per chi suona la campana?



Un paginone pubblicitario su Avvenire di domenica 27 giugno ci invita a riflettere. Solitamente una campana ha lunghissima vita, non di rado ultrasecolare, però, quando subisce danni, diventa inutilizzabile e c’è solo da buttarla. In compenso, la sua manutenzione ordinaria richiede poco impegno, mentre quella straordinaria (riparazione o sostituzione delle parti mobili o di sostegno) è solo occasionale e dal costo irrisorio rispetto a quello della campana stessa, che può arrivare anche a diverse centinaia di migliaia di euro. Perciò nessuno si disfa di una campana che non abbia subito lesioni, per il semplice fatto che il mercato di campane usate lesionate è praticamente inesistente. E tuttavia ci sono delle eccezioni, tutte legate alla necessità di un ridimensionamento delle spese di gestione al capitolato del personale addetto, quasi sempre risolto con l’installazione di dispositivi elettronici sostitutivi. E dunque donde vengono le campane usate vendute dalla Italsonor? Da chiese che non sono più in grado di sostenere le spese per farle risuonare e che hanno scelto l’opzione alternativa di un altoparlante sul campanile e di un pulsante in sagrestia: quel paginone pubblicitario è uno dei tanti indicatori di una crisi. Scarseggiano i preti, ma scarseggiano anche i soldi per pagare un campanaro, al punto da considerare conveniente disfarsi di campane che – Italsonor garantisce – sono in ottime condizioni.

[...]


In Mc 11, 11-26 si racconta di Gesù che maledice un fico sul quale, mosso da languorino, non aveva trovato neanche un frutto, ma solo foglie, e si legge: “Non era infatti la stagione dei fichi”. Che cazzo maledici, allora? Com’è e come non è, la maledizione di Gesù fa seccare il fico “fin dalle radici”. Qui la domanda è: dovendo compiere un prodigio, non potevi farlo fruttificare fuori stagione? Mah, lasciamo perdere.

È ragionevole ipotizzare


“Attraverso un programma di azioni criminali che hanno cercato di incidere gravemente e in profondità sull’ordine pubblico, Cosa Nostra ha certamente inteso agevolare l’avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste”. Così affermava Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia, lo scorso 26 maggio. Carlo Azeglio Ciampi, che era presidente del Consiglio all’epoca di quelle azioni criminali, si affrettava a dirsi d’accordo: “Il procuratore antimafia dice la verità, e io condivido pienamente le sue parole”.
Nessuno dei due produceva prove e senza prove si dovrebbero evitare termini come “verità” o “certamente”, ma in questo caso non si trattava di un Gaspare Spatuzza o di un Massimo Ciancimino: le loro dichiarazioni sembrarono ipotesi, però autorevoli.

Ora accade che, a poco più di un mese di distanza, per di più all’indomani di una sentenza che rigetterebbe almeno l’elemento più inquietante in quelle ipotesi, e cioè un accordo tra mafia e importanti pezzi della politica, della finanza e dello stato, Beppe Pisanu, presidente della Commissione bicamerale antimafia, affermi: “È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra cosa nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica”. Siamo ben oltre le affermazioni di Grasso: “certamente” Cosa Nostra cercò un accordo – diceva il procuratore nazionale antimafia – ma qui è “ragionevole” pensare che quell’accordo fu trovato. Siamo dopo Grasso e Ciampi, poco prima di Spatuzza e Ciancimino, sicché è lo stesso Grasso che adesso chiede prove a Pisanu.

Probabilmente Pisanu non le ha, altrimenti non avrebbe detto “ipotizzare”. Il fatto è che accanto a “ipotizzare” mette un “ragionevole” che tutto sommato è d’uomo di buona reputazione, peraltro appartenente ad uno schieramento politico che, leader in testa, definisce farneticanti quelle ipotesi, ma pure assai stimato dai suoi avversari, soprattutto da quelli poco inclini a formulare o sostenere ipotesi senza prove e cauti in costruzioni complottiste.
Non è tutto. Pisanu è stato coinvolto nello scandalo della P2 e la sua carriera politica ne risultò compromessa per qualche tempo. Voci di brogli elettorali, poi, hanno insidiato la sua reputazione, nel 2006. A coinvolgerlo, in entrambi i casi furono ipotesi forse ritenute “ragionevoli” con eccessiva leggerezza: un uomo che ha constatato questo sulla sua pelle solitamente ipotizza con giudizio, evitando considerazioni ardite su dati inconsistenti. E dunque le sue dichiarazioni odierne hanno un rilievo particolare.

Voci maliziose non tarderanno ad insinuare, addirittura ad affermare in modo esplicito, che queste affermazioni tornano a palese sostegno dei teoremi cari ai più accaniti nemici di Silvio Berlusconi e che, dunque, sono da intendere come ulteriore sintomo di disagio interno al centrodestra e soprattutto al Pdl. Si dirà che a parlare è stato un politico caduto in disgrazia presso il suo Principe, emarginato da qualche tempo in qua, un poco incarognito dal risentimento e fra i tanti che nel Pdl stanno accantonando punti per il dopo Berlusconi o per soluzioni bipartisan nell’interregno. Si dirà che ha rispolverato la vecchia giubba da zaccagniniano, che si muove da post-post-democristiano...

Di certo c’è solo il fatto che Pisanu sembra aver previsto questo. Infatti aggiunge: “Di fronte a [quegli] eventi terribili si giustappongono senza mai fondersi tre verità, quella giudiziaria, quella politica e quella storica, che si basano su metodi di ricerca e su fonti diverse con la conseguenza di dare luogo a risultati parziali e insoddisfacenti. La verità politica interessa tutti noi per cercare di spiegare ai nostri elettori quale pericolo ha corso la democrazia in quel biennio e come si è riuscito a evitarlo”.
Pisanu, in realtà, offre una ipotesi che solo in apparenza è imbarazzante per il centrodestra: concorda con chi ritiene che con gli attentati del ’92-’93 la mafia abbia voluto aprire un tavolo di trattativa col mondo politico, ma che la risposta fu negativa e il “no” venne proprio dal mondo politico che si sarebbe coagulato in Forza Italia.
I giudici e gli storici diranno quanto nelle loro possibilità, il politico già dice quanto nelle sue: Forza Italia nacque  proprio da quel “no”. Se l’opzione militarista di Cosa Nostra si rivelò fallimentare, come non darne merito a chi riempì il vuoto politico di quegli anni?